Mps, lo Stato cede il 25%: le ragioni, il timing, e perché ora si aprono le porte del risiko
Il collocamento, curato da BofA, Jefferies e Ubs, si è concluso nella serata di ieri e ha registrato una domanda pari a oltre 5 volte l’ammontare: dal 20% si è a passati al 25%
di Luca Davi e Gianni Trovati
3' di lettura
Il Tesoro coglie l’attimo e sfruttando il vento favorevole in Borsa avvia la cessione del 25% di Monte dei Paschi, con un’operazione lampo comunicata nel pomeriggio di ieri che attraverso una procedura accelerata di raccolta ordini ha messo sul mercato poco meno di 315 milioni di azioni. Il collocamento, curato da BofA, Jefferies e Ubs, si è concluso nella serata di ieri e ha registrato una domanda pari a oltre 5 volte l’ammontare iniziale: per questo motivo l’offerta è stata incrementata dal 20% al 25% del capitale.Forte la domanda da parte di investitori istituzionali italiani e internazionali, alcuni dei quali già presenti nel capitale della banca.
La cessione è avvenuta a un prezzo di 2,92 euro per un controvalore complessivo pari a circa Euro 920 milioni. Il corrispettivo incorpora uno sconto pari al 4,9% rispetto al prezzo di chiusura delle azioni della banca registrato in data 20 novembre 2023 ed è superiore di quasi il 50% rispetto al prezzo di sottoscrizione dell’aumento del capitale della banca realizzato nel novembre 2022.
L’incasso per il Governo
In termini complessivi, l’incasso lordo dei 920 milioni è il primo tassello di quell’ambiziosa promessa di privatizzazioni da un punto di Pil (circa 21 miliardi) in tre anni che nel programma di finanza pubblica oggi all’esame di Bruxelles è decisiva per evitare un rialzo del rapporto fra debito e Pil. Ma non è qui che va cercato il senso principale della mossa di ieri, con cui come spesso gli accade il ministero dell’Economia guidato da Giancarlo Giorgetti sembra disinteressarsi di un dibattito infinito, anche all’interno dell’attuale maggioranza, sull’opportunità di mantenere il controllo pubblico del Monte, per imboccare quella che pare la strada più produttiva sul piano pratico e sul terreno dei negoziati con Bruxelles.
I motivi della vendita flash
Sul primo aspetto, a far muovere uno scenario che nonostante i tentativi del passato è rimasto pietrificato dalla «ricapitalizzazione precauzionale» di sei anni fa è prima di tutto il valore dell’azione. Che dopo il doppio balzo in avanti nel rating comunicato da Fitch la sera del 10 novembre, da «BB» a «B+», è tornata a superare la soglia dei 3 euro, e con i 3,072 euro della chiusura di ieri, ai massimi dalla quotazione, segna un +20,51% rispetto a un mese fa e un +72,96% nella performance a un anno. Una quota ben superiore ai 2 euro a cui tutti gli azionisti, vecchi e nuovi, hanno sottoscritto l’aumento di capitale da 2,5 miliardi.
Non è un caso che chi è sul dossier ieri sottolineava l’interesse degli investitori italiani ed esteri verso una banca che, sotto la guida del ceo Luigi Lovaglio e del presidente Nicola Maione, si avvia a chiudere l’anno con un utile superiore agli 1,1 miliardi. Ma a dare la sterzata decisiva - e a convincere definitivamente il Mef verso una diluizione che era nell’aria da tempo - è stata la decisione di Moody’s di alzare l’outlook sul rating sovrano sul nostro Paese, passandolo da negativo a stabile e lasciando immutato il rating a ’Baa3’.
Un quadro del genere, favorito anche dal rafforzamento complessivo di un settore bancario italiano ribadito in tutte le analisi delle agenzie di rating in queste settimane, è quello migliore per avviare le macchine di una cessione per la quale esattamente un mese fa il Mef aveva scelto Ubs e Jefferies come consulenti finanziari e Clifford Chance come legali, advisor che hanno peraltro garantito nero su bianco al Mef sulla bontà dell’operazione. Si vedrà oggi quale sarà la reazione del mercato. Di certo quello avviato ieri è solo il primo passo di un cammino più lungo. E che può facilitare i nuovi negoziati con la Ue in vista delle prossime scadenze, a partire dal termine di dicembre 2024 concordato con Bruxelles come timing per l’uscita definitiva del Tesoro, che d’altra non potrà muoversi dal capitale per i prossimi 90 giorni.
La maggiore contendibilità
Anche perchè nel frattempo, complice una diluizione che porta il Tesoro al 39,23%, sotto la quota di maggioranza assoluta, la banca risulta più contendibile. E la rende più appealing in particolare agli occhi di quei potenziali acquirenti che fino ad oggi si sono tenuti lontani dal dossier anche (ma non solo) per l’ingombro dell’azionista pubblico in rapporto alla loro capitalizzazione. Il tema riguarda da vicino una banca come BancoBpm, che rimane il candidato numero uno per la creazione di un terzo polo, o Bper, che pur escludendo oggi il dossier ha accarezzato a lungo l’idea. Ma è ovvio che la discesa del Mef nel capitale di Siena fa apparire ancor più digeribile il “boccone” anche per UniCredit, che potrebbe ragionare su un’operazione di mercato, sempre che ve ne siano le condizioni. E sempre che il Tesoro, dopo lo strappo di ottobre 2021, sia favorevole.
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