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Muholi, fierezza e nostalgia nei ritratti della “Leonessa Nera”

Al Mudec Photo di Milano fino al 30 luglio la mostra “Muholi. A Visual Activist”, a cura di Biba Giachetti

di Grazia Lissi

3' di lettura

Nel suo sguardo la malinconia di un Paese lontano e la fierezza del riscatto: Muholi è un'artista sconvolgente che cambia il tuo modo di osservare il mondo, il suo pensiero diventa fotografia, arte, ritratto in una ricerca senza fine.

Non si può stare solo a osservare.

Al Mudec Photo di Milano fino al 30 luglio la mostra “Muholi. A Visual Activist” a cura di Biba Giacchetti (catalogo Mudec Photo) presenta oltre 60 immagini in grande formato, scatti ipnotici e di denuncia sociale scelti dall'artista e da Giacchetti che spaziano dai primi autoritratti ai più recenti lavori, tutti tratti dal progetto artistico di Muholi “Somnyama Ngnyama” (Ave Leonessa Nera).

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Nel 2012 il primo autoritratto ma il disegno non è ancora finito, è in costante evoluzione. Inequivocabile Muholi lo riassume così «Tu sei importante. Nessuno ha il diritto di danneggiarti per la tua razza, per il modo in cui esprimi il tuo genere, o per la tua sessualità perché, prima di tutto, tu sei».

Attivista e Artista

Zanele Muholi nasce a Umlazi in Sud Africa nel 1972, una township poco lontana da Durban. L'apartheid segna la sua esistenza: la segregazione, gli innumerevoli e spietati controlli d'identità, l'oppressione e, nello stesso tempo, il desiderio di affermare una personalità libera, lontano dai pregiudizi sono i temi che la fotografa continua a proporre in ogni scatto. Una vita dura da subito, è l'ottava figlia di una coppia molto umile, pochi mesi dopo la nascita Muholi resta orfana di padre, Bester, la madre, è costretta ad andare a lavorare in una famiglia di bianchi lontano dai suoi affetti. L'apartheid obbligava i neri a compiere solo lavori di servizio, questo significava che le donne africane dovevano abbandonare la famiglia per uno stipendio modesto. Alla madre adorata, alle donne che come lei hanno dovuto lasciare i figli Muholi dedica una serie di autoritratti dolorosi e indimenticabili come “Bester 1” (Mayotte 2015, stampa a getto d'inchiostro nero): lo sguardo fisso in macchina, quasi catatonico, in testa una corona composta da mollette di legno per stendere i panni. La meravigliosa, emancipata Bester sosterrà con amore Muholi durante il processo di presa di coscienza della sua sessualità e la aiuterà a trasferirsi all'età di diciannove anni a Johannesburg. Oggi non è più Zenele (che in Zulu, sua lingua madre, è femminile) ma solo Muholi, un individuo che ha scelto di definirsi al plurale.

Muholi, al Mudec le fotografie della “Visual activist”

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Non solo per documentare

A Johannesburg lavora come parrucchiera, in mostra un autoritratto “Qiniso The Salis” (Durban 2019 stampa alla gelatina d'argento), in cui l'artista trasforma il suo capo in una cupola costruita con pettini di legno per ricordare la crudeltà di una società che non sopportava i capelli ricci degli africani e li voleva sottomettere a canoni estetici europei. Nello stesso periodo Muholi diventa attivista della comunità LGBTQIA*, fonda collettivi, è una blogger, usa la macchina fotografica per documentare la violenza di cui i suoi “amici-fratelli” sono vittime; vuole ridare con le sue foto dignità al mondo queer che subisce quotidianamente soprusi, “stupri correttivi”, minacce e insulti. Nel 2001 Muholi riesce a entrare al Market Photo Workshop, la grande scuola di fotografia fondata dal fotografo sudafricano David Goldblatt, sarà il suo mentore, amico e collega fidato. La carriera di Muholi è in salita, il mondo dell'arte comincia a scoprirla finché nel 2012 subisce il furto, la distruzione del suo archivio fra cui cinquecento negativi con storie mai pubblicate. L'eclettica artista è a pezzi durante un soggiorno in Umbria decide di usare la sua macchina fotografica come guarigione, rinascita, lotta; rientrata in Sudafrica inizia a realizzare il suo sogno “Somnyama Ngnyama” per riscrivere la storia, dare al mondo speranza, per riflettere - attraverso la “blackness” del suo corpo - sull'identità nera collettiva. Oggi ogni suo autoritratto dalla luce cruda, il nero esasperato, il volto con gli oggetti della miseria quotidiana ci guardano, protagonisti di una delle più importanti esposizioni fotografiche del Museo delle Culture di Milano; fra cui “Fisani” (Parktown, Johannesburg 2016 stampa a getto d'inchiostro) in cui Muholi si avvolge da decine di spilla da balia e racconta «Equivalgono alla solidarietà. Questo autoritratto reclama l'unità delle persone e tra le persone, indipendentemente da come esse si identificano».

Muholi. A Visual Activist , a cura di Biba Giacchetti, Mudec Photo di Milano, fino al 30 luglio 2023


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