Italia

Multiasset campioni d’incassi

di Marzia Redaelli

3' di lettura

Sono il vessillo dell’industria dei fondi comuni di investimento in Italia: i prodotti multiasset, cioè che spaziano tra varie tipologie di attività finanziarie, hanno trainato le sottoscrizioni dei risparmiatori negli ultimi anni, contribuendo a portare il patrimonio del risparmio gestito al record di oltre duemila miliardi di euro.

In Europa, la raccolta netta dei fondi multiasset (definiti anche di allocation) ha rallentato di recente, ma tiene ben salda la seconda posizione tra le varie categorie di fondi. Una ricerca di Morningstar evidenzia che da gennaio a fine maggio i mutiasset hanno incassato oltre 55 miliardi di euro (una bella fetta della raccolta totale, che ammonta a 292 miliardi), sono secondi solo agli obbligazionari (a +122,7 miliardi) e davanti agli azionari, in cui sono confluiti 22,8 miliardi.

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Le incertezze dei mercati e i bassi tassi di interesse che hanno falciato i rendimenti dei titoli di Stato e delle obbligazioni in generale sono alla base del successo dei fondi allocation, e lo dice la parola stessa: gli investitori delegano al gestore professionista l’allocazione del portafoglio in un paniere di investimenti che meglio risponda all’esigenza di proteggere il capitale, di ottenere un certo risultato con un determinato livello di rischio, in una combinazione stabilita a priori nel profilo di ogni prodotto.

Nel nostro Paese, i multiasset hanno preso piede con la formula dei fondi a termine, cioè con una scadenza definita (di solito cinque anni) durante i quali è previsto sovente il pagamento di cedole. L’ultima generazione dei fondi multiasset, invece, prevede una vera e propria flessibilità tra vari mercati e differenti attività, che possono sconfinare anche nell’immobiliare o nelle materie prime, per esempio. Tra i nuovi nati registrati da Morningstar ci sono il fondo quantitativo IQ Global di Gfa, che diversifica in otto mercati , tra cui l’Usa Tech, un settore che viene da rialzi sostenuti a Wall Street. E poi il Kames Global Diversified income, che destina fino al 30% del patrimonio a investimenti alternativi.

«Oltre alle asset class più gettonate - precisa Jacob Vijverberg, il gestore del Kames Gdi - investiamo anche in infrastrutture, leasing ed energie rinnovabili. Questi settori offrono flussi di liquidità stabili e legati all’inflazione. Al momento, viceversa, siamo cauti nel sobbarcarci il rischio di credito, perché a nostro parere non è premiato a sufficienza, mentre diamo fiducia al comparto finanziario europeo e alle società immobiliari quotate, sebbene con criteri severi di selezione, dato che molti asset stanno diventando troppo costosi».

In generale, tuttavia, i multiasset non hanno risposto alle attese di chi li ha comprati, poiché molti dei prodotti collocati hanno avuto difficoltà a battere il benchmark, cioè a fare meglio dei mercati in cui investono. La mediana dei risultati dei fondi di allocation globali con profilo aggressivo è stata del 2,54% annuo a partire dal 2007, un rendimento, peraltro, simile a quello degli strumenti con allocazioni moderate o caute, rispettivamente del 2,68% e del 2,31%.

Da inizio 2017, i cinque fondi maggiori in Europa per patrimonio gestito, con masse tra i 16 e i 24 miliardi di euro, hanno registrato variazioni che vanno dall’1,2% di Carmignac Patrimoine al 5,2% del Blackrock Global Allocation Fund, se si considerano le classi denominate in euro (si veda anche la tabella in pagina).

Le performance deludenti della categoria nel decennio si spiegano in parte con il sovrappeso dei mercati azionari europei - che hanno attraversato fasi di ribasso importanti - nei fondi multiasset domiciliati in Europa, pure in quelli con una vocazione globale. Negli ultimi cinque anni, invece, i gestori hanno fatto fatica a battere il mercato per via degli alti ritorni delle obbligazioni, soprattutto di quelle a lungo termine, a cui nei multiasset vengono preferite quelle di breve durata per questioni tattiche.

Non hanno giovato alla soddisfazione dei clienti i carichi delle commissioni, che risultano in media dell’1,47% annuo e che, viceversa, nel 2016 hanno beneficiato le casse delle società di gestione con circa 23 miliardi di euro.

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