Muore per overdose in stato d’arresto, condannata l’Italia per aver violato il diritto alla vita
I poliziotti che tenevano in custodia l’uomo non hanno adottato tutte le precauzioni per evitare il rischio morte, violando l’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo
di Patrizia Maciocchi
I punti chiave
2' di lettura
L’Italia ha violato il diritto alla vita per non aver evitato il rischio che un uomo, indicato con le iniziali CC, arrestato, perché sospettato di aver commesso reati di droga, morisse per overdose mentre era sotto custodia degli agenti. Da Straburgo arriva l’ennesima condanna all’Italia per non aver rispettato l’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo secondo il quale «il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena». Il rischio della morte dell’uomo, che era sotto custodia in questura a Milano, avrebbe potuto, secondo gli eurogiudici, essere ridotto se i poliziotti, che dovevano tutelarlo, avessero adottato tutte le precauzioni che si possono ritenere necessarie in tale situazione. L’Italia dovrà pagare 30mila euro per danni morali alla madre, alla compagna e alla figlia della vittima.
L’arresto
La Corte europea dei diritti dell’Uomo ha così accolto il ricorso dei familiari dell’uomo, arrestato la mattina del 10 maggio 2001, nell’ambito di un’operazione di contrasto al traffico di droga. Già al momento dell’arresto l’indagato era in uno stato - sottolineano i giudici - precario sia dal punto di vista fisico sia psicologico, dovuto al consumo di droga. Dopo essere stato autorizzato a riposarsi con il corpo per «metà all’interno e per metà all’esterno della macchina della polizia», era stato trasferito alla questura centrale di Milano. Lì le condizioni era peggiorate, tanto che era stata chiamata un’ambulanza, quando ormai respirava con difficoltà, aveva le convulsioni ed era cianotico. Il responso dell’autopsia era di edema cerebrale dovuto ad un’eccessiva fluidità del sangue.
Le mancate precauzioni
Per la Corte, anche se non ci sono elementi sufficienti per affermare che le autorità erano consapevoli di un rischio «reale e immediato» di ingestione di una dose fatale di cocaina durante il fermo, avrebbero dovuto prendere delle precauzioni elementari per minimizzare questa possibilità e tutelare la salute dell’arrestato. Misure che si imponevano, a maggior ragione, tenendo conto che al momento del fermo l’uomo stava già male e considerando che era stato trovato in possesso di cocaina e la polizia sapeva che era un tossicomane. Malgrado questo CC non aveva beneficiato di alcuna assistenza medica nè al momento dell’arresto nè dopo.
La perquisizione
Non c’è, infine, ha sottolineato la Corte, alcun elemento che indichi che sia stato perquisito alla centrale di polizia. Gli eurogiudici, pur dicendosi consapevoli della difficoltà, anche in merito al rispetto di altri diritti umani, di perquisire tutti gli arrestati, precisano che questo non esimeva le autorità italiane dal verificare che CC non fosse in possesso di droga all’arrivo in questura. Cautela che non è stata adottata, come non è stata messa in atto una sorveglianza adeguata. Nè i procuratori, nel corso delle indagini, hanno interrogato tutti i poliziotti coinvolti. Il Governo italiano non è stato dunque in grado di dare risposte e fornire prove rispetto alle contestazioni mosse dai ricorrenti. Da qui la violazione del diritto alla vita per non aver messo in atto le misure per proteggerla
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