Musica, street art, teatro: Napoli (con le sue contraddizioni) è ancora capitale
Lo sguardo forestiero di Trudie Styler e la fotografia di Dante Spinotti confezionano un’ode emozionante alla città partenopea e alla sua resistenza quotidiana
di Eugenio Bruno
I punti chiave
3' di lettura
La musica. Il teatro. Il calcio. Il Vesuvio. La camorra. E poi la fame, la fatica, la resistenza quotidiana. Il mondo dei vivi strettamente collegato a quello dei morti. E ancora l’arte, la poesia, il cibo. In Posso entrare? An ode to Naples di Trudie Styler (produttrice, regista e moglie di Sting) c’è tutto questo. E anche di più. Si parte con il rap di Clementino, che ricostruisce duemila e passa anni di storia dagli albori dell’allora Partenope a oggi, e si arriva all’inconfondibile voce di Pino Daniele sulle note di Alleria, che racchiude in sé il tono del terzo lungometraggio dell’artista inglese. L’allegria certo. ma anche il dolore, la malinconia e il rimpianto. La consapevolezza che tutto cresce e se ne va. In mezzo 100 minuti di volti, storie, personaggi, luoghi, leggende.
Una città fotografata nella sua interezza
Il merito principale dell’Ode di Trudie Styler è quello di restituirci nella sua pienezza l’immagine di una città complessa, sfaccettata, difficile, piena. Ma a suo modo unica. E colorata: di rosso, come il sangue di San Gennaro e il magma che scorre sotto il vulcano; di giallo, come il tufo del suo sottosuolo e dei palazzi di quando era capitale d’Europa e rifugio di artisti provenienti da ogni parte del mondo; di azzurro, come la maglia della sua squadra e del mare che la costeggia. Tinte forti che la fotografia di Dante Spinotti mette in risalto e valorizza.
A colpire del suo lungometraggio è la capacità di calarsi perfettamente nei panni e nella mentalità dei suoi abitanti. Il suo essere forestiera probabilmente la aiuta a mettere da parte il bozzetto, l’agiografia, la macchietta con cui tante volte la vediamo rappresentata al cinema, in tv, sui giornali. Per carità, la Napoli da cartolina c’è e non potrebbe non esserci. Ma serve solo a staccare tra un primo piano e l’altro. Tra una testimonianza e l’altra. A ritornare da una parte al tutto e a spostarsi poi in un’altra parte ancora. Da Posillipo ai Quartieri Spagnoli, dal Vomero a Scampia. Dalla Penisola sorrentina a San Giovanni a Teduccio. Tante facce di una stessa terra.
Napoli e i suoi volti noti e non
Anche la scelta di partire da Spaccanapoli e dalla Sanità ne offre la riprova. Inutile girarci intorno. Napoli è un concentrato di bellezza che non nasconde le sue contraddizioni. Le sue ferite. Passate e presenti.
La testimonianza di un parroco da sempre in prima linea (don Antonio Loffredo) oppure di uno scrittore che vive sotto scorta da oltre 15 anni (Roberto Saviano) hanno la stessa forza di quella della nonna-sarta che cuce 200 guanti al giorno da decine e decine di anni per dare da mangiare al nipotino rimasto prematuramente orfano e a due giovani vicini di casa che hanno subito la stessa sorte. Oppure di quella delle donne dell’associazione Forti guerriere, nata dopo l’omicidio di Fortuna Belisario, che combattono quotidianamente contro i femminicidi. O ancora di quella di Alessandra Clemente che ha trovato nell’impegno politico un modo per andare oltre il lutto e per cercare di dare un futuro diverso alla città che l’ha privata, alla tenera età di otto anni, della madre Silvia Ruotolo, freddata da un proiettile vagante mentre tornava a casa mano nella mano con il suo secondogenito.
Da sempre culla dell’arte
Ma Napoli non è solo camorra, spaccio, violenza. Trudie Styler lo sottolinea con forza. Napoli è anche arte. La musica, l’abbiamo detto. E l’esperienza dell’orchestra di Sanitansamble ne è un’altra prova. Ma come dimenticare il teatro? Da qui l’attenzione alle esperienze di Vincenzo Pirozzi, figlio di un boss che avvia proprio dalla Sanità la sua esperienza di riscatto per i giovani del suo quartiere, e di Francesco Di Leva, che parte dalla periferia orientale, crea uno spazio d’avanguardia come il Nest e arriva al successo nazionale diretto da Mario Martone in Nostalgia. Fino alla street art. E a Jorit che dalla parete di un vecchio palazzo di San Giovanni a Teduccio, dove ha immortalato un Dios umano come Diego Armando Maradona, ha portato le sue bombolette e il suo monito a “essere umani” in giro per il mondo. Fino in Ucraina, in Cile o in Palestina. Senza mai dimenticare da dove è partito e dove, per sua stessa ammissione, ha sempre bisogno di fare ritorno.
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