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Mutuo, perché il 90% degli italiani sceglie quello a tasso fisso

di Vito Lops

Mutuo, perché il 90% degli italiani sceglie quello a tasso fisso

4' di lettura

Quando si tratta di scegliere il tasso del mutuo, sia che si tratti di un prestito per l’acquisto della prima casa che per una surroga, gli italiani non hanno più dubbi. Ormai tutti in massa stanno optando per il fisso. Per certi versi potremmo dire che l’amletico dubbio che da sempre attanaglia chi è alle prese con un finanziamento ipotecario (fisso o variabile?) abbia quasi perso ragione d’esistere.

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Non si era infatti mai visto finora nella storia dei mutui (perlomeno da quando esiste l’euro) un vantaggio così schiacciante del fisso che al 30 novembre – stando alle ultime rilevazioni dell’osservatorio di MutuiOnline.it – ha raggiunto l’89% delle nuove erogazioni e sfiora il 92% sulle operazioni di surroga, quelle che consentono di spostare il vecchio mutuo in una nuova banca che offre condizioni giudicate migliori dal cliente. Il 2014, l’ultimo anno in cui il tasso variabile la spuntava sul fisso (con il 60% delle preferenze) sembra lontano anni luce.

LA CORSA AL TASSO FISSO

Fonte: MutuiOnline.it

LA CORSA AL TASSO FISSO

Un dato così eclatante farebbe pensare a un improvviso balzo del costo del variabile, tale da giustificare la fuga in atto verso il fisso. Invece così non è. Oggi in media un mutuo variabile compreso tra i 20 e i 30 anni di durata costa intorno allo 0,83% mentre un pari fisso oscilla intorno all’1,92%. Quindi il variabile conserva un vantaggio di partenza nei confronti del fisso di poco superiore al punto percentuale (110 punti base). Ma evidentemente non è sufficiente per attrarre l’ampio e variegato universo degli aspiranti mutuatari (ogni anno in Italia si stipulano oltre 250mila mutui ipotecari). Come mai?

IL COSTO DEI MUTUI

Mutui a 20 e 30 anni, media, rilevazioni annuali, in % (Fonte: MutuiOnline.it)

IL COSTO DEI MUTUI

Ci sono almeno tre motivi che spiegano il fenomeno. Il primo è di natura rettiliana: la paura per il futuro. L’incertezza sull’andamento dell’economia – certificata anche da un 2018 pesante sui mercati finanziari con tutte le principali classi di investimento in perdita – aumenta il bisogno di sicurezza, di mettersi al riparo all’interno di una zona di comfort quale è, lato mutui, il tasso fisso che congela per sempre l’importo della rata. Accada quel che accada al Pil, allo spread tra BTp-Bund, all’economia, allo scontro tra il governo e Bruxelles sulla manovra di bilancio, alla guerra commerciale tra Usa e Cina. In fasi come queste il fisso sprigiona tutto il suo fascino, che è dettato da quella resilienza a tutti gli eventi che il futuro, incerto per definizione e in questa fase percepito come ancor di più, può nascondere in un lasso di tempo obiettivamente molto lungo e imponderabile come quello che abbraccia un piano di ammortamento (la durata media di un mutuo si aggira intorno ai 25 anni).

«L’effetto paura è confermato da un altro movimento finora inesplorato nel mercato dei mutui. L’aumento delle surroghe da tasso variabile a fisso – spiega Roberto Anedda, responsabile marketing di MutuiOnline.it -. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un crescente ricorso alle surroghe, ma si è trattato prevalentemente di passaggi da fisso a un fisso più basso o da fisso a variabile. Ora invece è partita un’ondata nuova. In molti scelgono di rinunciare ai benefici in termini di risparmi che finora il variabile ha garantito per passare a un tasso fisso più caro, ma che non lascia dubbi sul costo della rata in futuro».

Non c’è solo l’emotività. A spingere verso il fisso è anche la consapevolezza che oggi i tassi fissi sono sui minimi di tutti i tempi (sotto il 2% in media ma nelle migliori condizioni, quelle in cui il valore del prestito è inferiore al 50% del valore della casa, anche sotto l’1,5%). Consapevolezza unita al fatto che invece i variabili, pur essi ai minimi, non potranno più scendere ma eventualmente solo salire. «La distanza in partenza tra il costo di un fisso e un variabile, spesso superiore ai 200 punti base, oggi si è appiattita sui 100 – continua Anedda -. Quindi per chi è orientato mentalmente al fisso obiettivamente non c’è momento più propizio per agganciarlo».

Il terzo motivo non arriva dalla domanda ma dall’offerta. Per quanto le banche non certo ostacolino chi è indirizzato nella scelta del tasso variabile, è vero anche che vendere un mutuo a tasso fisso sui minimi per un istituto di credito offre un vantaggio sul futuro: ridurre al minimo i rischi che in futuro lo stesso cliente scappi verso un’altra banca che offra condizioni migliori attraverso la surroga. Questo spiega come mai, nonostante le incertezze politiche, gli spread che le banche praticano sui fissi siano oggi molto più bassi (in media lo 0,2% e non di rado vicini allo 0) rispetto a quelli conteggiati sul tasso variabile, in media 0,7%.

Detto ciò, è bene anche spezzare una lancia per quella minoranza che oggi sceglie un nuovo mutuo variabile o decide di non trasformarne uno vecchio in fisso. Innanzitutto va detto che sulle brevi durate, come 10-15 anni, il rischio che il costo del mutuo lieviti oltremisura in caso di forti rialzi dei tassi da parte della Bce e/o di rialzi annessi dell’indice interbancario Euribor (utilizzato dalle banche per calcolare le rate variabili) si riduce di molto. Perché per come sono costruiti i piani di ammortamento – ovvero nei primi anni si paga la maggior parte degli interessi – bisogna preoccuparsi di eventuali sbalzi dei tassi non per tutta la durata effettiva del mutuo ma per poco più della metà (quindi su un mutuo di 10 anni gli effetti di rialzi peserebbero se questi avvenissero nei primi sei anni).

C’è poi un altro motivo che un buon avvocato difensore del variabile spenderebbe per la causa: chi sta optando per il fisso perché teme gli effetti sulle rate di una prossima recessione o crisi finanziaria e quindi accetta di pagare di più (perché difatti stipula una sorta di assicurazione implicita), forse non sa che lo scenario avverso da cui si assicura è lo stesso che spingerebbe la Bce a rimandare i rialzi dei tassi prolungando difatti l’attuale minimo storico del costo dei tassi variabili. Perché le banche centrali alzano i tassi quando un’ economia (e con essa l’inflazione) cresce troppo. E questo, ahinoi, purtroppo non pare all'orizzonte.

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