Myanmar, i ribelli al Nord conquistano tre città al confine con la Cina
L’alleanza tra le formazioni guerrigliere di Shan, Rakhine e Kachin preoccupa Pechino che chiede dialogo anche a tutela dei suoi interessi energetici
di Marco Masciaga
<a class="classi-link-interno" href="#U22107254225Dkb">L’offensiva è la più massiccia dal colpo di Stato del 2021</a>
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Dal nostro corrispondente
NEW DELHI - La giunta militare al potere in Myanmar è alle prese da alcuni giorni con l’insurrezione armata più articolata mai affrontata da quando nel 2021, nel giorno in cui si sarebbe dovuto insediare il nuovo Parlamento, ha messo agli arresti il premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi e dichiarato lo stato d’emergenza.
L’offensiva è la più massiccia dal colpo di Stato del 2021
L’offensiva in corso nel nord e nel nord-est della ex Birmania, oltre a essersi rivelata militarmente più efficace di quelle precedenti, giunge in un momento di difficoltà per il regime militare alle prese con purghe interne e un raffreddamento delle relazioni diplomatiche con la Thailandia e la Cina, il suo principale alleato.
Gli attacchi degli ultimi giorni sono avvenuti nella regione di Kokang nello Stato di Shan, al confine con la provincia cinese dello Yunnan. A sferrarle sono state due formazioni ribelli, la Myanmar National Democratic Alliance Army e la Ta’ang National Liberation Army che - con l’appoggio dell’Arakan Army, che normalmente opera più a ovest, nello Stato di Rakhine - hanno assunto il controllo di una serie di installazioni militari e uffici governativi, due vie di comunicazione con la Cina e tre città, tra cui Chinshwehaw, considerata centrale nei traffici commerciali della regione.
I tre eserciti, che si sono riuniti nella Three Brotherhood Alliance, stanno agendo in accordo con la Kachin Independence Army - una delle forze ribelli più strutturate del Paese, addirittura in grado di produrre localmente le proprie armi - che è attiva nello Stato settentrionale di Kachin dove, non a caso, anch’essa negli ultimi giorni ha preso di mira alcune installazioni militari del regime.
Dopo il colpo di Stato del 2021 queste e altre formazioni ribelli nate su base etnica hanno di fatto smesso di combattersi a vicenda per unire le proprie forze contro l’esercito regolare, potendo contare anche sull’appoggio delle People’s Defence Forces, il braccio armato del governo in esilio.
Tensioni diplomatiche anche con la Thailandia
La situazione di forte instabilità nelle regioni ribelli sta gravando anche sui rapporti tra i militari al potere a Naypyidaw e i loro referenti a Bangkok e Pechino. I primi sono intervenuti chiedendo garanzie sulla sorte di 162 thailandesi rimasti prigionieri in una delle regioni teatro degli scontri. Si tratta in larga parte di persone impiegate nel fiorente settore delle truffe online che ha trovato terreno fertile in alcune regioni del sud est asiatico dove i controlli sono difficili da effettuare o non vengono fatti di proposito da autorità colluse, come nel caso del Myanmar.
I rapporti con la Cina sono più complessi. Storicamente Pechino appoggia la giunta militare birmana, ma allo stesso tempo mantiene rapporti con (e in alcuni casi, arma) alcune delle formazioni militari indipendentiste etniche che operano nelle regioni settentrionali del Paese. Lunedì il ministero degli Esteri ha chiesto sostanzialmente due cose al regime militare di Myanmar: collaborazione con la Cina per tutelare gli abitanti dello Yunnan che vivono più vicino al confine (nei giorni scorsi ci sono stati un morto e dei feriti per un colpo d’artiglieria) e dialogo con i ribelli al fine di garantire la stabilità del Paese.
Il ruolo della doppia pipeline verso lo Yunnan
Pechino ci tiene a far sì che Myanmar, oltre a restare uno Stato vassallo, non imploda: i suoi interessi economici nel Paese sono numerosi. Il principale è probabilmente la doppia pipeline, gas e petrolio, che parte da Ramree, un’isola birmana affacciata sul Golfo del Bengala che attraversa da sud-ovest a nord-est tutto il Myanmar per arrivare a Ruili, nella provincia cinese dello Yunnan, non lontano dal luogo degli scontri di questi giorni.
Si tratta di una fonte di approvvigionamento energetico a cui Pechino tiene in particolar modo perché consente di bypassare lo Stretto di Malacca, che è considerato dagli strateghi militari uno dei punti deboli delle catene di approvvigionamento della Cina, per via delle sue dimensioni ridotte e della forte presenza nella regione di alleati degli Stati Uniti e della US Navy.
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