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Nadef, Pil e inflazione tagliano il deficit: 10 miliardi a disposizione per il Dl di fine anno

Nella Nota di aggiornamento al Def approvata mercoledì dal Consiglio dei ministri l’inflazione gioca un ruolo da protagonista, offrendo ai saldi di finanza pubblica qualche buona notizia per quest’anno e molte difficoltà per il netto peggioramento del quadro nel prossimo

di Marco Mobili e Gianni Trovati

Pil frena nel 2023, dal deficit 'tesoretto' di 10 mld

3' di lettura

Draghi e Franco lasciano un margine vicino ai 10 miliardi di euro per il prossimo decreto energia di fine anno, prima prova del nuovo governo di centrodestra. Il dato emerge dalle tabelle della Nota di aggiornamento al Def approvata ieri dal Consiglio dei ministri. Nei numeri l’inflazione gioca un ruolo da protagonista assoluto, offrendo ai saldi di finanza pubblica qualche buona notizia per quest’anno e molte difficoltà per il netto peggioramento del quadro nel prossimo: quando però l’aumento del Pil nominale, nelle previsioni elaborate a Via XX Settembre, continuerà a ridurre il peso di deficit e debito nonostante la drastica caduta nella crescita reale.

Per quest’anno l’effetto in realtà è combinato, perché l’inflazione va a braccetto con un’economia che fin qui ha corso a ritmi sostenuti anche per il trascimento del rimbalzo 2021. La stima su base annua si aggiorna al +3,3%, due decimali sopra l’obiettivo di aprile ma altrettanti sotto il dato già acquisito (+3,5%) nel primo semestre; la limatura si spiega con la revisione al rialzo del Pil 2021 operata dall’Istat, ma soprattutto con il fatto che la frenata si farà sentire già nell’ultima parte dell’anno.

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9,5 miliardi per un nuovo decreto anti-crisi

In ogni caso il tendenziale, unico quadro proposto dalla Nadef che lascia il programma di bilancio al prossimo governo, segna a legislazione vigente un deficit 2022 al 5,1%. Si tratta di cinque decimali in meno rispetto all’obiettivo del Def al 5,6%, che quindi potrà essere confermato anche con una spesa aggiuntiva da 9,5 miliardi per un nuovo decreto anti-crisi. Che potrebbe però doversi occupare anche dello scongelamento almeno parziale dei quasi 4 miliardi di fondi ministeriali bloccati dal finanziamento del decreto Aiuti ter. Merito della corsa delle entrate spinte dall’inflazione, a partire da Iva e accise senza dimenticare il saldo di novembre dell’una tantum sugli extraprofitti dell’energia. Su questi presupposti, spiega il ministro dell’Economia Daniele Franco nell’introduzione, «le tendenze di finanza pubblica sono complessivamente rassicuranti». E si riassumono in un debito che scende al 145,4% del Pil mentre il Def puntava a quota 147%.

Disavanzo al 3,4%

Ma che cosa spinge questi effetti anche nel 2023? L’inflazione tendenziale dovrebbe rallentare negli ultimi mesi 2022, si legge nella Nadef, ma i tempi di trasmissione dei prezzi dell’energia al resto dei beni e servizi spingono in alto il tasso di fondo anche nella prima parte del prossimo anno. La conseguenza è che a fronte di una crescita reale 2023 tagliata allo 0,6% dal 2,4% previsto ad aprile corrisponde una dinamica comunque vivace del Pil nominale, che segnerebbe un +4,4%. È questo il dato su cui si misura il peso di deficit e debito, che quindi continuano a scendere: il disavanzo si attesterebbe al 3,4%, mentre il debito atterrerebbe a quota 143,2%. E nel saldo primario tornerebbe addirittura un avanzo (+0,5%), con un miglioramento dell’1,6% rispetto a quest’anno: quasi tutto merito di un deflatore del Pil che nel 2023 sale al 3,7% (dal 3% del 2022) contro il 2,2% indicato nel Def di aprile; e si porta dietro un aumento delle imposte indirette anche l’anno prossimo.

I parametri da tenere in considerazione

È questo il sentiero che misura gli spazi di partenza per la prossima legge di bilancio. Spazi ridotti rispetto a quelli che si sarebbero aperti con una crescita in linea con le vecchie previsioni, ma in ogni caso aiutati dalla dinamica nominale. Il punto chiave sarà quello di individuare il livello di disavanzo in grado comunque di evitare una risalita del debito, tenendo conto di un doppio rischio. I tassi in crescita già fanno lievitare il costo del debito, e lo scenario macro è appeso a molte incognite esogene: un calo più drastico del commercio mondiale e un allargamento ulteriore dello spread taglierebbe della metà la crescita reale 2023, portandola al +0,3%, e ancora peggio andrebbe in caso di «marcato rafforzamento del tasso di cambio dell’euro». Forte è anche il colpo attribuito allo stop totale al gas russo, che però costerebbe comunque due decimali di Pil quest’anno e cinque l’anno prossimo portandoci sull’orlo della crescita zero (+0,1%).

Su questi presupposti, Franco suggerisce sotto forma di «auspicio» la rotta che andrà tenuta dal nuovo governo, e che dovrà proseguire «in un contesto di graduale riduzione del deficit e del debito» consolidando una ripresa post-Covid «sostenuta dagli investimenti privati e pubblici, da tassi di occupazione più alti e da una dinamica della produttività più elevata».

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