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Nani e pelosi, ovvero come difendersi da banali e volgari chiacchericci

Oggi si parla di body shaming, ma i nostri padri l'avrebbero definita più semplicemente rozza maleducazione

di Paola Bianchi

4' di lettura

È un'estate più calda del solito, non solo per le ragioni climatiche che da tempo hanno gli onori delle prime pagine. La congiuntura ha voluto, infatti, che al drammatico crescendo delle crisi internazionali si sia intrecciato l'avvio d'una campagna elettorale nata stonata. Un florilegio di botte e risposte per colpire, quanto più in basso possibile, l'avversario. Si è persino assistito al triste spettacolo di insulti legati all'altezza di un ex-alleato. Oggi lo si definisce body shaming, ma i nostri padri l'avrebbero definita più semplicemente rozza maleducazione.

Il “diversamente alto”, o diverso tout court

Una delle tante, respingenti cacofonie che i social provvedono incontrollatamente ad amplificare. Ne è derivato subito un flusso lutulento di argomentazioni pro e contro, che producono l'effetto di anestetizzare il dibattito pubblico, sfinendolo per noia. I difensori dell'offeso e l'offeso stesso hanno giustamente respinto al mittente quell'insulto. Non è mancato chi, per rafforzare la difesa dell'offeso, abbia compiuto una rassegna di casi in cui la storia, dall'antichità a oggi, avrebbe dato prova di isolare il “diversamente alto”, o diverso tout court, inserendolo nella categoria «ripugnante e ributtante» del «mostro». Come se l'offesa di oggi sia stata una semplice e identica replica delle beffe della storia nei confronti di alcuni. Va detto, qui e ora il sentimento di ripugnanza, a fronte dello sfottò, non è solo condivisibile, ma doveroso.

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Il «mostro»

La “mostruosità”, tuttavia, ha avuto anche altri significati ed esiti. Non a caso gli antichi avevano forgiato il concetto di monstruum alludendo in particolare all'eccezionalità di un portento che si riveli oltre i limiti della normalità, privo cioè delle connotazioni peggiorative che la parola “mostro” è venuta assumendo nell'uso moderno. Al “mostro” è stato associato, dunque, nel corso della storia e a seconda delle civiltà, un rilievo tragico o comico, alto o basso. I miti, i personaggi teatrali e letterari, le costruzioni delle biografie di alcune note figure storiche ci insegnano che non sempre la difformità, rispetto a un presunto canone estetico, ha dato origine all'invettiva e al ludibrio.Chi può essere certo, d'altro canto, delle misure fisiche dei personaggi che abbiamo imparato a conoscere dai banchi di scuola? Grandi condottieri come Cesare, Eugenio di Savoia e Napoleone restano associati, nell'immaginario, a stature poco generose, che però, anche quando fossero vere, andrebbero collocate nel contesto di epoche in cui l'altezza media era diversa dalla nostra. Spesso, poi, queste stature o particolari conformazioni fisiche sono state rappresentate con enfasi ad arte. Gli storici sanno bene, infatti, che saper misurare la propria età, oltre che la propria altezza, è stata una capacità o un obiettivo acquisiti solo in epoche recenti, in una società via via più abituata (o costretta) a classificare le persone con rigore.

La difformità

La difformità ha dato origine, nel corso dei secoli, piuttosto, alla curiosità: a quella vissuta sulle piazze in occasione delle esibizioni di “persone al limite”, o a quella condivisa negli ambienti più elitari delle Wunderkammer e nelle stanze delle corti, dove non solo nani, ma persone dotate di elementi in qualche misura esotici raccoglievano consensi e patenti di virtuosismo vario.Ecco dunque un consiglio come antidoto sottile agli sfottò: una lettura, nella buona tradizione dell'estate agostana, quando le pagine dei giornali tentano di offrire un supplemento di refrigerio alla mente. Si tratta di un libro non recente, uscito in prima edizione italiana nel 2005, per i tipi di Donzelli, frutto, come sempre accade per un serio lavoro di scavo e di analisi delle fonti, di diversi anni di ricerca. L'autore: Roberto Zapperi, uno storico che è stato fra l'altro un indimenticabile responsabile, per chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, della sezione di storia moderna nella redazione del Dizionario biografico degli italiani.

Il selvaggio gentiluomo. L'incredibile storia di Pedro Gonzalez e dei suoi figli

Il titolo: Il selvaggio gentiluomo. L'incredibile storia di Pedro Gonzalez e dei suoi figli. Con una prosa godibilissima, il libro narra le vicende di un indigeno originario delle Canarie affetto, nel volto e nel corpo, da una rarissima malattia: un'ipertricosi che lo fece descrivere dai diplomatici presenti alla corte francese di Enrico II di Valois come un giovane «molto bello», a dispetto della curiosa anomalia. Era stato donato al re di Francia Enrico II, che lo trattò con grande riguardo. Alla sua corte Pedro, o meglio «Don Pedro» - come lo si chiamò fin da subito, intorno alla metà del XVI secolo, con il titolo onorifico spagnolo - fu educato come un perfetto gentiluomo. Sposò a Parigi un'avvenente francese che gli diede più figli, alcuni dei quali ereditarono l'ipertricosi. Vicende politiche varie costrinsero poi la famiglia dei pelosi a trasferirsi a Parma, alla corte dei Farnese, e successivamente a Roma. Zapperi restituisce una trama che potrebbe essere inventata tanto è affascinante, e che invece ci insegna quante sfumature la storia possa aver dato alla “diversità”. In tarda età – che nessuno dei suoi parenti poteva o sapeva quantificare con precisione - «Don Pedro il selvaggio» si ritirò presso il lago di Bolsena, godendo di una quiete che per tutta la vita non aveva potuto conoscere a causa dell'interesse destato dalla sua insolita ipertricosi. Una non scarsa collezione di ritratti, raccolti e illustrati dall'autore del libro, ci restituisce la discendenza di Don Pedro, in pose plastiche, riprodotte per diversi salotti e corti d'Europa. Come quella dolcissima Antonietta Gonzalez, in un ritratto che oggi si conserva a Blois: una bimba dell'età apparente di sei-otto anni, con i capelli raccolti da una coroncina floreale, come i peli che ne offuscano il viso; la bimba veste un ricco abito e regge un cartiglio che la dichiara figlia di Don Pedro. Lo sguardo di questa bimba e le storie apparentemente incredibili - agli occhi del lettore contemporaneo abituato a ragionare per stereotipi - può aiutarci a tener lontano le semplificazioni e le chiare volgarità di certi chiacchiericci recenti.

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