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Nasce a Napoli il M5S 2.0: ora restyling e riforme, a partire dal Titolo V

Grillo rassicura i critici, Fico fa il padrone di casa, Di Maio cede alla richiesta di più collegialità. Ma la riorganizzazione annunciata è piena di incognite

di Manuela Perrone

M5S festeggia il taglio dei parlamentari: è vittoria del popolo

5' di lettura

La triangolazione è plastica: Beppe Grillo fa il «pompiere» e prova a spegnere i focolai di dissenso, Roberto Fico si comporta da vero padrone di casa e mette la sua autorevolezza “istituzionale” al servizio dell’unità del Movimento, Luigi Di Maio non cede lo scettro di capo politico ma accoglie la richiesta di maggiore collegialità lanciando la riorganizzazione che gli affiancherà «circa 80 persone» tra «facilitatori» nazionali (i responsabili dei temi), coordinatori regionali e referenti locali. Naturalmente sempre attraverso il voto degli iscritti sulla piattaforma Rousseau, gestita dall’omonima associazione presieduta da Davide Casaleggio.

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A Napoli parte ufficialmente il cantiere del M5S 2.0. Un Movimento proiettato nei prossimi dieci anni che si vede saldamente al Governo, perché - parole di Di Maio - «sarà sempre l’ago della bilancia al centro del Parlamento». Un Movimento che archivia la rabbia e punta allo studio e alle competenze. Un Movimento che confida di diventare adulto, dopo dieci anni vissuti da bambino precoce salito troppo in fretta sulle montagne russe del potere. Un Movimento a cui serve come non mai il “timbro” di Grillo per certificare e far digerire la metamorfosi. Il comico-garante è stato netto: «È inutile pensare che abbiamo la stessa identità di dieci anni fa, non è così, siamo diversi». E stavolta il suo «vaffa» non è più rivolto all’esterno, a quel «loro» indistinto - la casta, i poteri forti, il sistema - ma all’interno, a quel «noi» riottoso ad accettare il Governo con il Pd, Italia Viva e Leu. Figuriamoci i «patti civici» con i dem nelle Regioni, a cui Di Maio ha timidamente aperto senza sbilanciarsi ancora: bisogna prima capire come andrà la tornata elettorale in Umbria, il primo test sul territorio della strana intesa.

Se il compito di bacchettare gli assenti (gli ex ministri Toninelli, Lezzi e Giulia Grillo, gli ex sottosegretari Santangelo e Valente) se lo assumono Casaleggio e lo stesso Fico, tocca a Grillo, durante la «due giorni» napoletana di Italia 5 Stelle, incontrare i critici, ascoltare e spiegare le ragioni del nuovo M5S. Sabato vede la fedelissima Carla Ruocco, presidente della commissione Finanze della Camera, che già sul Sole 24 Ore aveva anticipato l’auspicio di una svolta basata su merito e competenza, e la deputata vibonese Dalila Nesci, che si era autocandidata in Calabria tra l’imbarazzo dei vertici. Domenica pranza con la vecchia guardia: Paola Taverna, vicina al grande assente Alessandro Di Battista, Carlo Sibilia, Nicola Morra. Grillo ribatte sul tasto della necessità dell’alleanza con il Pd, ma concorda sulla diagnosi di un eccesso di inesperienza e di “signorsì” intorno alla leadership di Di Maio che ha danneggiato il Movimento e fatto ribollire i gruppi parlamentari.

Per ripartire serve anche una nuova agenda riformatrice, dopo aver incassato i successi di quella storica, rivendicati con orgoglio a più riprese: il taglio dei vitalizi e quello dei parlamentari, il reddito di cittadinanza (poco citato, per la verità), la legge anticorruzione. È per questo che Di Maio annuncia una riforma del Titolo V della Costituzione, bollando come «scellerata» quella approvata dal Pd nel 2001: un riordino dello Stato e degli enti pubblici per assegnare più poteri ai sindaci, eliminare gli organismi inutili e «sapere con certezza chi decide». Da scrivere con i contributi di costituzionalisti ed esperti della Pubblica amministrazione che il capo politico pentastellato chiama a raccolta in un «Forum» prossimo venturo.

Ma la strada è lastricata di ostacoli. Nel breve periodo c’è da superare lo scoglio di una manovra che rischia di essere povera e senza identità. Nel vertice mattutino con i suoi ministri e sottosegretari, Di Maio prova a serrare le file intorno ai principi non negoziabili per il M5S: l’acceleratore premuto sulla svolta green, l’attacco alle multinazionali («Le correzioni sulle tasse devono riguardare loro e favorire la tutela dell’ambiente», dice il leader sostenendo una tassa sulla plastica, anche per tranquillizzare artigiani, imprenditori e professionisti preoccupati da un aumento della pressione fiscale), il sì al carcere e alla confisca per i grandi evasori («Chi ha messo fatture false per oltre 100mila euro in un anno», è il paletto citato da Di Maio), l’addio al superticket per le famiglie al massimo entro la metà del 2020. Sul tavolo della riunione di maggioranza di domenica notte a Palazzo Chigi i pentastellati rimettono pure il salario minimo, agganciato al taglio del cuneo per le imprese. E chiudono ai ritocchi a quota 100 invocati dai renziani.

Contemporaneamente Di Maio deve recuperare i parlamentari allo sbando. Martedì al Senato e mercoledì alla Camera si terrà il nuovo round per l’elezione dei capigruppo dopo la fumata nera della scorsa settimana. A Palazzo Madama si tratterà della terza votazione, che potrebbe essere già risolutiva perché richiede la maggioranza assoluta dei presenti e non dei votanti: potrebbe spuntarla l’attuale vicesegretario Gianluca Perilli, in testa nelle prime due tornate rispetto a Danilo Toninelli, Stefano Lucidi e Marco Pellegrini. Alla Camera la partita è più aperta, ma ci sono stati incontri tra i tre candidati - il vicario Francesco Silvestri, la governista Anna Macina e l’outsider Raffaele Trano - per provare a risolvere l’impasse accorpando le squadre e permettendo a tutti e tre di avere un ruolo. Lunedì Macina si è ritirata: i suoi 33 voti dovrebbero convergere su Silvestri. Trano invece non ha ancora intenzione di farsi da parte: dopo la seconda votazione valuterà.

È la nascita della segreteria il terreno più scivoloso, la prova del nove della trasformazione definitiva del Movimento in partito. Entro il 22 novembre dovranno arrivare i progetti necessari per candidarsi tra i 12 «facilitatori» (sono stati già aperti i profili “attivista” su Rousseau), responsabili di altrettanti temi, dall’energia alla giustizia, dalle infrastrutture all’ambiente. Gli aspiranti dovranno presentarsi a dicembre al vaglio degli iscritti su Rousseau con un proprio team: cinque esperti della materia e tre portavoce, uno regionale, uno nazionale o europeo e uno comunale che possano sostenerli. Tra i nomi di chi potrebbe essere interessato circolano quelli di Roberta Lombardi (capogruppo M5S nel Lazio, dove il gruppo è spaccato) per la sicurezza, di Luca Carabetta per le imprese, di Giampiero Trizzino per l’ambiente. Ma la partita è apertissima. E non tutti si fidano dell’operazione.

«Il rischio è che siano palliativi», afferma un parlamentare a taccuini chiusi, ricordando che il restyling prevede anche sei nomine dirette da parte del capo politico, tutte organizzative e di grande rilievo strategico: comunicazione, personale, formazione, area legale, enti locali e Open candidature. «Da un lato Di Maio mostra di accogliere la richiesta di collegialità, dall’altro potrà piazzare persone di sua fiducia in caselle chiave, come la comunicazione. Siamo sicuri che sarà un vero passo verso una maggiore democrazia interna?». L’orizzonte è incerto, ma gli ormai ex «ragazzi» di Grillo sono cresciuti, determinati e a volte spregiudicati. Vedi Napoli e poi muori, scriveva Goethe. Vedi Napoli e rinasci più forte di prima, giurano dai vertici M5S.

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