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Prendere atto dell'inverno demografico in corso e partire da questa consapevolezza per correggere, se non addirittura invertire, la rotta. Partendo dalla spinta alle nascite e all'incremento dei livelli di occupazione nei giovani. Senza però dimenticare la generazione Silver che può rappresentare un (nuovo) valore su cui puntare per crescere.
Sono questi alcuni dei temi emersi durante la tavola rotonda “Allarme demografia in Italia” con Giancarlo Blangiardo, ex presidente Istat; Alessandro Rosina, professore ordinario di demografia presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; Laura Zanfrini, professoressa all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e presidentessa della Fondazione Ismu, e Stefani Schrerer, professoressa di Sociologia all'Università di Trento.
«Parliamo di allarme demografico perché siamo arrivati a un momento in cui, se andassimo avanti, così andremmo a sbattere. La consapevolezza di questi scenari può innescare una serie di azioni per governare queste dinamiche», spiega Gian Carlo Blangiardo, ex presidente Istat. «Nel 2022 si registravano 58,8 milioni di residenti, 1,5 milioni in meno rispetto a quelli del 2014: l'Italia perde popolazione e rischia di non essere più un grande Paese. Sempre l'anno scorso i nati sono stati 393mila, un record al ribasso che va peggiorando di anno in anno e ci porterà nel 2070 a 47,8 milioni di persone, in maggioranza inattive. Per trovare soluzioni dobbiamo partire da questi dati». Blangiardo sottolinea anche come l'invecchiamento della popolazione – che coincide con l'allungamento della speranza di vita – non sia da intendersi come un fattore negativo o come un peso sociale: «Si passerà dagli attuali 820mila ultra novantenni ai 2.200 del 2070 – spiega l'ex presidente Istat – e questa può essere un'opportunità anche dal punto di vista economico, purché valorizzata come nel caso della Silver economy».
Dare valore alle generazioni e studiare delle politiche ad hoc per permettere loro di esprimersi (e svilupparsi) al meglio è un tema chiave nell'arginare la crisi demografica. Lo spiega Alessandro Rosina, professore alla Cattolica di Milano: «Bisogna potenziare la base – e quindi stimolare la natalità – e modificare la tendenza agendo su altre tre leve: l'occupazione giovanile, creando un ponte tra la scuola e il mondo del lavoro; l'occupazione femminile, attraverso politiche di conciliazione tra lavoro e vita come per esempio è stato fatto in Svezia, e l'immigrazione, a patto di mettere in campo politiche che fanno diventare gli immigrati un pilastro del Paese come ha fatto la Germania». Proprio quest'ultima rappresenta uno degli esempi virtuosi in cui la decrescita demografica è stata invertita: «Nel 2005-2006 si sono trovati in una situazione limite e, di comune accordo, istituzioni e aziende hanno deciso di mettere in atto una serie di politiche per cambiare le cose. L'effetto a lungo termine sarà anche economico: nel 2.100 la Germania avrà la stessa posizione nel ranking globale dei Paesi per Pil, conclude Rosina.
Sul tema dell'immigrazione si è pronunciata Laura Zanfrini, presidente della Fondazione Ismu: «L'immigrazione può essere una leva complementare nelle politiche di spinta alla natalità, ma non è certo l'unica. E specialmente in quest'ottica il tema del buon governo dei processi di immigrazione diventa fondamentale». Immigrati sottopagati e al limite della soglia di povertà, infatti, secondo Zanfrini sono una cartina di tornasole «delle sfide che vanno affrontate in generale». Come la sfida dei Neet, i giovani che non studiano né lavorano né cercano lavoro: se tra gli italiani sono circa il 20%, tra gli stranieri sono un terzo, con un picco dell'80-90% tra le donne di alcune comunità immigrate.
L' impatto positivo del lavoro femminile sulla natalità è ormai dichiarato eppure in Italia la percentuale di donne tra i 20 e i 44 anni che lavorano è ancora inferiore al 50 per cento. Complice anche la mancanza di una serie di servizi o politiche che permettano alle madri di conciliare vita e lavoro o alle lavoratrici di concretizzare il desiderio di un figlio, che in Italia è molto più alto rispetto al tasso di fecondità, principalmente per ragioni economiche. «Attenzione alle disuguaglianze di coorte anche in termini di spesa pubblica – fa notare Stefani Schrerer - che oggi sostiene la popolazione più anziana, con una quota significativa di spesa concentrata nelle pensioni, e non investe nel futuro».
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