Nato in crisi d’identità: Trump ed Erdogan picconano quel che resta dell’Alleanza
La «morte cerebrale» di cui parla il presidente francese Macron mette in evidenza il tallone d’Achille della più potente alleanza militare del pianeta che sta cedendo terreno, di fronte a Russia o Turchia, complice il ridimensionamento della presenza americana nel mondo
di Ugo Tramballi
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La Nato «è forte», dice Jens Stoltenberg, rispondendo allo «stiamo assistendo alla morte cerebrale della Nato» di Emmanuel Macron. Dovrebbe stupire di più la dichiarazione del segretario generale dell’Alleanza Atlantica che quella del presidente francese.
Per essere forti non basta fare esercitazioni congiunte o mandare truppe alla frontiera russa per placare le preoccupazioni dei polacchi e dei baltici. Ha un impatto relativo tutto questo quando il primo degli alleati, il presidente della potenza che ha creato la Nato, è connivente con la Russia di Vladimir Putin.
Si sta scoprendo giorno per giorno l’uso che Donald Trump ha fatto del suo corpo diplomatico e dell’Ucraina per fini elettorali. Intanto però l’Ucraina non ha ricevuto i necessari aiuti militari per sopportare l’aggressione russa. Un altro esempio è il ritiro americano dal Nord della Siria, concordato con il presidente turco Recep Tayyep Erdogan ma non con gli altri alleati Nato, che ha permesso alla Russia di diventare il protagonista in quella regione.
L’alleato turco
Quando il presidente degli Stati Uniti si comporta così; quando la Turchia, il secondo esercito dell’alleanza, ignora le preoccupazioni degli alleati, è evidente che la Nato abbia un problema. Sul piano militare resterà la più potente alleanza del pianeta ma politicamente e strategicamente non funziona. Macron si serve di quella dose di arroganza che viene così naturale ai francesi; e nel campo delle alleanze militari, quando un francese propone un ruolo più importante per l’Europa, c’è sempre il sospetto che sotto ci sia la mai sopita ambizione gollista di essere alla testa di una difesa continentale, separata dagli Stati Uniti.
Ma sono questioni reali la denuncia del presidente Macron e la necessità che in questo mondo così instabile l’Europa non sia solo un mercato economico ma si attivi di più per la sua stessa difesa. L’“America First” brutalmente perseguita da Donald Trump non finirà se l’anno prossimo alla Casa Bianca andrà un democratico. Il ridimensionamento della presenza nel mondo, probabilmente anche in Europa, è una dinamica, non la politica di un solo presidente. Elizabeth Warren, la democratica ora più accreditata nei suoi interventi elettorali, non ha mai parlato di Nato, Medio Oriente, Russia o Cina ma solo di come l’America debba essere riformata.
Le origini: Dunkirk, 1947
All’origine il problema erano solo l’Unione Sovietica e il resto del blocco comunista in Europa. La prima forma di alleanza europea del dopoguerra fu il Trattato di Dunkirk, nel 1947. Francia e Gran Bretagna decisero di unire le loro forze nel caso di un’aggressione: allora la minaccia più grave era una possibile rinascita del nazismo in Germania, non Stalin. Due anni più tardi, il 4 aprile del 1947, l’alleanza diventò più formale e ampia, con 12 Paesi compresi quelli dell’altra sponda dell’Atlantico: Stati Uniti e Canada. Nasceva la North Atlantic Treaty Organization. Tra i Paesi fondatori c’era anche l’Italia.
Ma era l’America a guidare e a stabilire i mezzi e i principali obiettivi di questa nuova difesa collettiva dell’Europa. Piuttosto blanda e teorica, all’inizio. La guerra di Corea fu il primo campanello d’allarme. La Nato non vi partecipò come organizzazione: il suo teatro era il vecchio continente. Ma nel 1950 la Corea dimostrava che l’ambizione del mondo comunista era la conquista di quello che non lo era. In Asia come in Europa.
Più che in ogni altra sua parte, la ragion d’essere del trattato è l’articolo 5 che impegna tutta l’alleanza a difendere un Paese membro in caso di attacco. Nella lunga storia della Guerra fredda l’articolo non fu mai invocato. Lo è stato dopo l’attacco all’America dell’11 settembre 2001, quando tutti gli altri membri della Nato furono pronti ad applicarlo.
Non sempre unità e solidarietà sono state le prerogative dell’alleanza. Convinto che la Nato limitasse le sue ambizioni di potenza, Charles de Gaulle decise di uscirne nel 1966, facendo della Francia un alleato esterno, libero di non aderire alle decisioni collettive.
A che cosa serviamo?
Nata per arginare la minaccia sovietica e avendo la sola Europa come teatro d’azione, oltre a non aver mai applicato l’articolo 5, durante la Guerra Fredda la Nato non ha mai usato le sue armi. Il suo primo intervento fu per la liberazione del Kuwait, invaso da Saddam Hussein nel 1990/91. La vittoria e i nuovi scenari mondiali che si aprivano obbligarono la Nato a una riflessione fondamentale: a cosa serviamo? L’Urss non c’era più ma nel mondo sarebbero emerse nuove minacce forse ancora convenzionali, sicuramente asimmetriche: terrorismo, milizie, cyber-attacchi. L’Europa non poteva essere più il suo solo “campo di battaglia”.
Negli anni ‘90 seguirono i controversi interventi in Bosnia, Kosovo; nel successivo decennio in Afghanistan e Libia, ancor più controversi. La Nato si è anche impegnata nell’addestramento dell’esercito iracheno e nel pattugliamento anti-pirateria nell'Oceano Indiano.
Nel 2009 la Francia era ritornata come membro effettivo. Nel frattempo la Nato si stava allargando all’Europa dell’ex blocco sovietico, diventando un’alleanza a 29. L’espansione l’ha rafforzata ma ha anche aiutato Putin a diventare il suo principale avversario. In un certo senso l’allargamento a Est ha provocato la più importante riflessione politica nella storia della Nato: assecondare le richieste dei Paesi dell’Est, sostenute dalle loro opinioni pubbliche, o preferire l’opportunità geopolitica di mantenere buone relazioni con la Russia? L’avvicinarsi della Nato alle frontiere russe era per Putin un’insopportabile provocazione.
Fino al 2014 la Russia aveva una rappresentanza permanente al quartier generale della Nato a Mons, vicino a Bruxelles. Le relazioni si sono raffreddate al limite dell’ostilità dopo l’invasione dell’Ucraina e l’annessione della Crimea. Poi è arrivato Erdogan con le sue ambizioni post-ottomane, non meno imperiali di quelle della Russia di Putin. Oggi sono queste le principali minacce alla stabilità della Nato e al ruolo che Macron invoca di definire con forza.
Chi paga?
C’è un ultimo problema che rende difficile il rapporto fra alleati europei e americani, già complicati dalla personalità di Trump: chi paga le spese militari. L’alleanza ha stabilito che nel Pil di ogni Paese membro, non meno del 2% debba essere dedicato alle spese militari. Oltre evidentemente agli Stati Uniti, solo Grecia, Estonia, Gran Bretagna, Romania, Polonia e Lettonia vi arrivano. La Lituania è all’1,98%; l’Italia, fra gli ultimi, all’1,22.
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