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«Negli Usa la ricerca è competizione, lavoro in team e valorizzazione del singolo»

Sandra Misale. La biotecnologa, di origini calabresi, fonderà il Misale Lab a Baltimora: «La mia funzione è quella del nodo che tiene insieme il laboratorio, l’industria e la clinica»

di Paolo Bricco

6' di lettura

«Oltre la metà dei nostri fondi è federale. Il resto proviene da aziende private. Il grado di libertà, negli Stati Uniti, è lo stesso. Non dipende dalla fonte del denaro con cui fai ricerca. La differenza è che, nel caso dei progetti alimentati dai budget federali, devi competere con altri centri. Il rapporto con i gruppi privati può, invece, essere più diretto. Ma le metodologie di lavoro, le procedure e le rendicontazioni sono le medesime».

Sandra Misale – classe 1985, un compagno di nome Maurizio e un bambino di due anni e mezzo – ha appena ricevuto l’incarico di fondare il Misale Lab, il suo laboratorio alla Johns Hopkins University di Baltimora. Sandra ha la felice eccitazione di chi sa di essere a un punto di svolta: «Mi fa abbastanza impressione pensare che il dipartimento di oncologia di uno dei maggiori ospedali americani mi abbia dato questo compito e che, come capita negli Stati Uniti, il nome del laboratorio coincida con il cognome del fondatore», sorride non senza una punta di umana preoccupazione per la responsabilità che la attende.

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Siamo a Torino, al Pastificio Defilippis, un negozio storico in via Lagrange che alla tradizionale preparazione di pasta e di sughi, di dolci e di antipasti della cucina piemontese al pian terreno ha aggiunto, al primo piano, il ristorante. «Da bere io sceglierei un arneis. Undici anni a Torino come studentessa e come dottoranda saranno pur serviti a qualcosa…», dice Sandra, ancora prima di guardare il menù. Io, invece, vado su un bicchiere di dolcetto.

Per iniziare, prendiamo insieme – da condividere – un girello di vitello con salsa tonnata, un grande classico di queste parti: «Amo molto la cucina piemontese. Quando tornerò a casa negli Stati Uniti voglio provare a comprare gli ingredienti per preparare il bonet, il dolce tipico delle Langhe con il cacao amaro e gli amaretti», dice.

Sandra opera su una delle frontiere della scienza e della medicina contemporanee: non considera il singolo tumore, ma studia la lesione genetica del paziente, analizza la biologia della mutazione, lavora sul mix di farmaci selezionati: «Il mio laboratorio seguirà le linee guida della mia ricerca: la medicina personalizzata e le terapie a bersaglio molecolare. Il mio campo è estremante affascinante. La prima grande domanda sullo sfondo è perché la stessa mutazione genetica possa produrre tipi diversi di cancro. La seconda domanda è perché questi diversi tipi di cancro diano risposte diverse ai farmaci, che in alcuni casi funzionano e in altri no. Da tempo lavoro sul gene KRAS. È stato scoperto quaranta anni fa. Regola la crescita dei tumori al colon, al polmone e al pancreas. Per lungo tempo nessuno è riuscito a colpire con un farmaco il gene KRAS. Dieci anni fa è stato approntato un primo farmaco per un certo tipo di mutazione. All’inizio il farmaco funzionava per il cancro al polmone e non funzionava per il cancro al colon. Io ho trovato un altro farmaco che, in mix con il primo, funziona anche per il colon. Dopo un certo periodo, però, questa combinazione perde efficacia. In questo momento, sto predisponendo un altro mix di farmaci che dia persistenza a questa efficacia».

Misale è piccola di statura. Ha le fattezze di chi arriva da quel pezzo di Mediterraneo scosceso e di montagna che è la Calabria: «La mia famiglia è di Palmi, una città di quindicimila abitanti vicino a Gioia Tauro. Mio padre Michele era geometra all’ufficio tecnico comunale. Mia madre Grazia è casalinga. A Palmi mi sono diplomata al liceo linguistico. Era una scuola sperimentale. Studiavamo tedesco, francese e inglese e, in più, le materie scientifiche con i programmi del liceo scientifico. Mi sono sempre sentita attratta dal fare tante cose diverse: per questo scelsi il linguistico e non il classico o lo scientifico. La mia famiglia ha propaggini in Piemonte. In molti, dalla Calabria, sono emigrati qui nel Secondo dopoguerra. I miei parenti si sono stabiliti a Chivasso per lavorare alla Fiat e alla Lancia. Dopo le superiori, per me e le mie sorelle, è stato naturale venire qui».

Lei è tornata, per qualche giorno, a Torino per partecipare al convegno annuale della European Association for Cancer Research. Racconta Misale: «Qui casa mia affacciava sui Giardini Reali. Ho studiato biologia molecolare all’università di Torino e, poi, ho preso il dottorato in medicina molecolare a Candiolo. Mia sorella Claudia, che adesso fa la computer scientist al Watson Institute dell’Ibm a Yorktown Heights, non distante da New York, dopo la laurea a Cosenza ha frequentato il dottorato a Torino. Mia sorella Luna si è formata come tecnica della riabilitazione psichiatrica all’ospedale San Luigi di Orbassano».

Sandra sceglie gli gnocchi alle vongole veraci con zucchine alla mentuccia e acqua di zafferano. Io, invece, prendo gli agnolotti del plin di carne e verdure al burro fuso e salvia. Parla con lentezza, ma all’improvviso accelera le parole, con la vocalizzazione aspirata di chi è cresciuto in Calabria. Lei è, appunto, una biotecnologa molecolare. Nella costruzione della sua identità professionale e intellettuale è una manager della scienza e della ricerca, perché ha dovuto sviluppare una attitudine combinatoria fra l’oncologia, la genetica, la farmacologia e la biologia cellulare: «Una attitudine combinatoria fra le idee e fra le persone. La mia funzione è quella del nodo: un nodo che tiene insieme il laboratorio, l’industria e la clinica».

Sandra conosce l’America nella sua fisiologia più intima: «L’intero sistema americano della ricerca ha un elevato grado di competizione e allo stesso tempo una forte vocazione alla cooperazione fra team che operano in settori complementari e sovrapposti. Esiste una valorizzazione dell’individuo che prescinde da chi tu sia, da dove tu venga, con chi tu abbia studiato». Non ne ha, però, una visione retorica e acritica. Nemmeno adesso che ha ottenuto, negli Stati Uniti, una posizione di primo piano: «Quando sono arrivata all’Harvard Massachusetts General Hospital avevo uno stipendio maggiore rispetto a quello di Candiolo, ma il costo della vita era tanto più alto a Boston rispetto a Torino che, per me, non era cambiato nulla». E, peraltro, riconosce le differenze culturali: «In Italia, e in generale in Europa, esiste una coralità nella vita di laboratorio che trovo molto bella. All’inizio, negli Stati Uniti, non capivo perché, al mattino, quasi non mi salutassero quando arrivavo al lavoro. Andare a cena a casa dei colleghi è una eccezione. Può accadere, ma dopo molto tempo. E solo se si è creato un legame speciale. So che sembrano cose minime, ma queste diversità sono significative e, soprattutto all’inizio, possono provocare solitudine».

Allo stesso tempo, dopo anni negli Stati Uniti, sottolinea la validità di alcuni elementi culturali della società americana: «Negli Stati Uniti vengono rimarcati valori e comportamenti con una intensità che, a noi europei, paiono eccessivi. Io non ho un carattere radicale. Ma devo dire che trovo importante la tensione a favore di molti diritti civili. Ogni nostro gesto ha un contenuto politico. La scienza ha un significato politico. L’organizzazione del mio team risponderà a criteri di inclusione a favore delle minoranze e delle donne che consentiranno comunque la conservazione degli standard di qualità e di competenza. Nella ricerca, come in molti campi della società, lo sbilanciamento a favore del maschio bianco americano è stato troppo duraturo e troppo consistente. Non sono a favore dei massimalismi. Ma credo che sia corretto operare dei riequilibri. E, questo, sarà un segno distintivo del mio laboratorio».

Sandra Misale è piccola di statura ed è veloce: «Non ho l’ossessione della competitività. Ma ho il piacere del lavoro ben fatto. E so che cosa vuol dire riuscire ad aggiungere, giorno dopo giorno, un pezzo alle cose che sto facendo. Di sicuro, al di là della magnitudo finanziaria che non è paragonabile, il sistema americano ha una dinamicità maggiore rispetto a quello europeo. A Boston ho lavorato due anni. A un certo punto il capo del mio laboratorio, Jeffrey Engelman, si è dimesso per andare in Novartis come capo della ricerca oncologica. Di fatto la struttura è stata chiusa. Negli Stati Uniti possono capitare anche queste cose. Io mi sono spostata rapidamente a New York, al Memorial Sloan-Kettering Cancer Center. Abbiamo vissuto per cinque anni prima nell’Upper East Side e poi a Long Island City. Adesso, con il nuovo incarico, ci trasferiremo a Baltimora, nel Maryland».

Nessuno dei due resiste alla carta dei dolci di Defilippis. Lei non può non prendere il tanto amato bonet. Io, invece, scelgo un gianduiotto gigante fatto con la crema di pistacchio. La sua è una storia di persone e di laboratori, di malattia e di scienza, di metropoli americane e di piccole cittadine mediterranee. Mentre beviamo il caffè, mi viene in mente che, non distante da questa parte del centro storico di Torino, abitava un chimico di nome Primo Levi che, nel suo romanzo La chiave a stelle, scrisse: «Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti conoscono». E, guardando gli occhi vivi di Sandra Misale, sono abbastanza sicuro che lei sia fra questi fortunati.

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