liberalizzazioni nel mirino

Negozi chiusi la domenica: il mondo del commercio si divide mentre vola l’e-commerce

di Marzio Bartoloni

Negozi aperti nel we? La maggioranza pensa a un “tetto” di 8 domeniche

4' di lettura

Il possibile ritorno (con poche deroghe) alla chiusura dei negozi la domenica e nelle festività - Lega e M5S vogliono arrivare presto in Parlamento a una legge -divide il mondo del commercio. Con la grande distribuzione che difende le liberalizzazioni sulle aperture volute nel 2013 da Monti e i piccoli esercizi che da allora si sono schierati a spada tratta contro le serrande aperte nei giorni festivi che avrebbero contribuito a strangolare il piccolo commercio. Sullo sfondi i nuovi dati appena diffusi dall’Istat sui consumi che parlano di un 2018 ancora come anno da dimenticare, mentre l’e-commerce vola segnando un +13%.

Secondo l’Istat infatti su base annua le vendite di beni non alimentari registrano un calo dell’1% in valore e dell’1,5% in volume, mentre quelle dei beni alimentari sono in aumento in valore dello 0,2% (per l’aumento dei prezzi), ma diminuiscono in volume del 2,1 per cento. In calo anche le vendite al dettaglio per la grande distribuzione (-0,1%) e una diminuzione più consistente per le imprese operanti su piccole superfici ( 1,5%). Mentre il commercio tradizionale arranca cresce in modo sostenuto quello elettronico. Per le vendite on line - si legge nel comunicato Istat - a luglio 2018 si registra un +13,6% su luglio 2017.

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In questo quadro arriva la proposta della maggioranza giallo-verde che intende riportare le chiusure domenicali: la proposta leghista - più restrittiva - punta solo su 8 aperture l’anno tra domeniche e festivi, quella M5S ne prevede una al mese. «Ci fa piacere –dice Donatella Prampolini Manzini, presidente Fida, la Federazione Italiana Dettaglianti dell'Alimentazione di Confcommercio-Imprese per l'Italia- che finalmente si riprenda a parlare della necessità di regolare le aperture festive degli esercizi commerciali». «Come Federazione – spiega - ribadiamo che la totale deregolamentazione ci ha sempre trovati contrari perché non garantisce il mantenimento della pluralità commerciale creando di fatto una disparità a favore delle grandi superfici, che possono utilizzare la turnazione del personale, a scapito della piccola distribuzione che spesso e volentieri ha all’interno soltanto il titolare con la conseguenza di non potere garantire trecentosessantacinque giorni di apertura all’anno».

N on è della stesso avviso la grande distribuzione, come ha spiegato già al Sole 24 ore a luglio Claudio Gradara, presidente di Federdistribuzione (associazione che rappresenta le imprese della distribuzione moderna organizzata): «In questi anni la risposta dei clienti è stata fortissima. La domenica è diventato il secondo giorno di incasso settimanale e noi registriamo 12 milioni di presenze nei nostri negozi. Davvero non riusciamo a capire il perché di questa retromarcia». Sulla stessa linea anche l’Associazione nazionale cooperative dettaglianti Ancd/Conad: «Si tratta, a nostro avviso, di una proposta totalmente insensata e disancorata dalla realtà e dai bisogni reali dei consumatori e del mondo produttivo. Tale provvedimento, che limita fortemente la libertà di impresa, la concorrenza e la libertà di scelta dei consumatori riportando il Paese indietro di diversi anni, avrebbe ricadute negative sui consumi e sul Pil. Si stima che attualmente siano circa 19,5 milioni gli italiani che approfittano dei giorni festivi per fare acquisti, i quali verrebbero privati di un servizio di grande utilità. A questi effetti va sommato l'impatto non certamente positivo che la misura avrebbe sugli occupati della Grande distribuzione organizzata, settore che attualmente vede impiegati circa 450 mila addetti, a cui vanno aggiunti quelli dell'indotto». Stime particolarmente negative erano state stilate ad esempio da Confimprese, che aveva previsto per gli esercenti una contrazione del fatturato del 10% e 400mila posti in meno.

Per Stefano Bassi, presidente dell’Associazione nazionale cooperative di consumatori (l’organismo nazionale di rappresentanza istituzionale di Coop) c’è invece bisogno di un intervento: «Avevamo già sollecitato a luglio il Parlamento a mettere mano alla legge sulle aperture domenicali per mettere ordine alle liberalizzazioni selvagge di questi ultimi anni. Ci auguriamo che le nuove proposte possano contemperare le esigenze dei consumatori con quelle di chi lavora e ha diritto ai riposi. Serve un equilibrio e la garanzia dello stop soprattutto per alcune festività». Bassi non si dice convinto che le chiusure avranno un impatto sull’occupazione: «Non c’è nessuna prova di questo».

Negozi aperti nei giorni festivi indietro tutta: in arrivo la stretta. Anche per l’e-commerce

Ha idee molto chiare Roberto Manzoni, che ha un negozio di moda a Ravenna ed è anche presidente dei negozi di abbigliamento Fismo Confesercenti: «Le chiusure devono riguardare la stragrande maggioranza delle domeniche. Si possono prevedere delle deroghe, poche, per alcune feste o tradizioni locali. Ma nel resto del’anno è giusto chiudere». «Le liberalizzazioni - avverte ancora Manzoni - hanno favorito solo la grande distribuzione colpendo i piccoli esercizi. Io che ho una sola commessa come faccio a fare turni nei festivi? Negli altri negozi si è arrivata a sfruttare la famiglia facendo lavorare moglie e figli la domenica». Ma il vero nemico non è l’e-commerce? «Io ho anche un sito di vendita on line. Non demonizzo quindi l’e-commerce a patto che tutti lavorino con le stesse regole e pagando le tasse».

Anche Eleonora Di Giacomo che ha un negozio di abbigliamento («intimo femminile») subito fuori l’anello ferroviario di Roma - a Torrevecchia - non ha dubbi: «Posso capire far aprire i negozi nei centri storici e lì dove ci sono turisti che magari hanno solo la domenica per i loro acquisti, ma per un piccolo esercizio come il mio l’apertura domenicale è un suicidio. Io che sto da sola in negozio come faccio? Dovrei pagare costi eccessivi. È stato un grande regalo ai centri commerciali che ci hanno fatto guerra sulla nostra pelle rubandoci clientela». «Io che ho quasi 60 anni - continua - ho visto come negli anni sessanta e settanta con le vecchie regole si facevano pagare multe salate a chi restava aperto la vigila di Natale dopo le sei e mezzo. Oggi si è passati all’eccesso opposto».

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