Nei grandi studi legali i primi a tagliarsi lo stipendio stavolta sono i soci
Indagine Mag-Legalcommunity: rispetto alle crisi precedenti, si preferisce intervenire sugli utili ai partner e non sul personale.
di Valeria Uva
2' di lettura
La pandemia costringe gli studi a una riorganizzazione profonda, che per la prima volta però non passa soltanto dai tagli alle risorse umane. Quando durante il lockdown si è trattato di avviare la spending review dello studio, quasi uno su due tra le boutique e le law firm nazionali e internazionali ha preferito ridurre gli utili ai soci, mentre solo uno su cinque ha tagliato le retribuzioni degli avvocati salariati.
La tendenza emerge dallo studio condotto da Legalcommunity a inizio ottobre sugli effetti perduranti del Covid nel mercato legale. Una situazione ben diversa dalla crisi del 2008, quando, al contrario, si è intervenuti soprattutto con i tagli al personale. «C’è un cambio di atteggiamento, gli studi non sono più una entità unipersonale, ma una organizzazione collegiale e hanno bisogno di una squadra - commenta Nicola Di Molfetta, direttore del portale Legalcommunity e della rivista Mag - ormai sono le persone il vero asset competitivo da tutelare». Il 78% degli interpellati ha dichiarato di non essere intervenuto sulle retribuzioni, mentre, appunto, il 45% ha scelto di limitare la distribuzione di utili ai soci
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Misure queste ultime ancora attive nella maggior parte dei casi perché le previsioni sul fatturato non sono rosee. Dei 53 studi interpellati solo uno su tre prevede di chiudere il 2020 in crescita. La maggior parte (39%) si schiera su posizioni “attendiste” (in linea con il precedente bilancio) «probabilmente cercando di capire come andrà dicembre - spiega Di Molfetta -tradizionalmente un mese che da solo arriva a pesare per un terzo sui fatturati». Chi ipotizza un miglioramento «probabilmente è ben posizionato nelle practice più coinvolte per la pandemia, dal life science al diritto del lavoro, fino al restructuring».
Il flop dello smart working
Appena hanno potuto molti avvocati sono ritornati in studio: il 77% utilizza il lavoro da remoto solo parzialmente, mentre un 17% lo ha addirittura abbandonato del tutto. Evidentemente in tanti ritengono che questa modalità organizzativa sia poco efficace per la specificità della professione che, di fatto, si nutre di idee, confronti e lavoro di squadra difficilmente realizzabili da remoto. Ad essere più penalizzati dallo smart working sono stati i giovani che apprendono solo attraverso il confronto con i senior. Eppure l’esperienza qualche traccia deve averla lasciata nella riorganizzazione dell’attività visto che ben il 90% degli intervistati pensa in futuro di ridurre gli spazi delle sedi («in questo caso oltre allo smart working potrebbe giocare un ruolo anche l’implementazione del cloud», avverte però Di Molfetta). Una cosa è certa: nessuno rinuncia alla sede in centro città. L’indirizzo dello studio, il primo “biglietto da visita”, non si cambia.
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