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Nei rapporti tra politica e Cassa Depositi e Prestiti serve più trasparenza

Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) è come la Madonna che, nelle sere d’estate, viene portata in processione nei piccoli paesi della provincia italiana.

di Paolo Bricco

(Imagoeconomica)

4' di lettura

Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) è come la Madonna che, nelle sere d’estate, viene portata in processione nei piccoli paesi della provincia italiana. È sempre invocata. La si invoca per l’azionariato di Stellantis, per un riequilibrio degli assetti societari sbilanciati a favore della componente francese-francese (la famiglia Peugeot e la banca pubblica di investimenti Bpifrance) rispetto alla componente olandese-italiana (la Exor). È stata invocata in passato – impropriamente, perché per statuto non può investire in società in perdita – per Alitalia e per Ilva. È un soggetto attivo nel complicato riassetto azionario e nel futuro strategico di Tim, fra società commerciale e rete. Cdp ha avuto una tendenza all’espansione – operativa e concettuale – del perimetro durante i governi Conte 1 e Conte 2. Ha avuto una tendenza alla riperimetrazione – più concettuale che reale – durante l’esecutivo guidato da Mario Draghi. Un governo interventista – da destra – come quello Meloni non può che considerarlo uno strumento potenzialmente valido e “organico”.

Nel volume Cassa Depositi e Prestiti. Profili giuridici, scritto per Giappichelli da Andrea Maltoni e Vincenzo Donativi (con un contributo di Davide De Filippis), si indagano alcuni elementi critici. Prima di tutto la tendenza – culturale, quindi anche politica – ad aumentare la componente statuale rispetto a quella privatistica nella interpretazione teorica e dottrinale di che cosa è Cassa Depositi e Prestiti. «Il problema maggiore che si è riscontrato con l’ampliamento dei compiti assegnati a Cdp – si legge – ha riguardato la qualificazione della fattispecie societaria, attraverso cui giungere a una (sicura) individuazione della disciplina applicabile. La difficoltà maggiore che si registra per gli interpreti riguarda proprio il carattere proteiforme del nostro ente che, a seconda dell’angolo visuale considerato, pare assumere sembianze diverse; così è per la qualificazione come organismo di diritto pubblico, per quella come intermediario finanziario e come market unit o, ancora, per quella come Istituto nazionale di promozione. Tutte qualificazioni che vengono in rilievo a seconda che al (multiforme) fenomeno societario in discorso si guardi da una prospettiva differente: quella dell’assoggettamento alle regole tipicamente pubblicistiche sull’aggiudicazione dei contratti pubblici (organismo di diritto pubblico), quella dell’esclusione dalle regole prudenziali applicabili alle banche e ai gruppi bancari (intermediario finanziario), quella dell’esonero, ancora, dall’inclusione nel debito pubblico o, infine, quella che la vede farsi promotore di nuove iniziative di investimento a valere su fondi (anche) europei (Istituto nazionale di promozione)».

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Il punto è proprio questo. Nel momento in cui la coloritura pubblica si marca con maggiore intensità rispetto alla dimensione di società privata, inizia e perdere forza e consistenza l’esclusione dal debito pubblico italiano di tutto ciò che rientra nel suo bilancio (quindi, anche, i conti correnti e i libretti delle Poste Italiane, che tecnicamente sono una passività). Muta l’inclinazione verso la Banca d’Italia, con cui da sempre è esistito un rapporto di lungo periodo ambiguamente cooperativo (quando il debito pubblico era gestito da Via Nazionale, ministero Tesoro e Cdp che ne era la longa manus) e competitivo (il risparmio postale è da sempre concorrente della raccolta bancaria). «L’equilibrio trovato da Giulio Tremonti allora al Mef e supportato da Giuseppe Guzzetti allora alla guida dell’Acri sulla natura privatistica di Cdp Spa – nota Maltoni – ha consentito di realizzare una modulazione pragmatica ed efficace del perimetro del debito pubblico nazionale, e anche di definire il rapporto con gli enti di vigilanza e controllo garantendo al contempo che Cdp non diventasse una sorta di pronto intervento pubblico per le imprese in difficoltà. Io credo che se non può più essere messa in discussione la natura giuridica privata di Cdp Spa, al contempo il Mef dovrebbe definire gli obiettivi pubblici di sistema attraverso il potere di indirizzo attribuitogli dalla legge. Ma si avverte, in alcuni orientamenti della giurisprudenza e in alcune ricostruzioni dottrinali, una forte propensione alla riqualificazione pubblicistica di enti che, come Cdp, sono stati privatizzati ex lege».

Nella complessa dinamica fra vertici di Cdp e governo, il problema non è soltanto – in senso latamente schmittiano – l’esercizio del comando della politica, quanto la dinamica di una realtà complessa e multiforme, che peraltro coinvolge in partnership capitali e soggetti squisitamente e indubitabilmente privati e che interviene in società squisitamente e indubitabilmente private.

Gli autori del volume – grazie a una serie di decreti ministeriali acquisiti in base a istanze di accesso civico – fanno chiarezza per la prima volta su quello che tecnicamente capita. I rapporti tra Mef e Cdp, la cui rilevanza è soprattutto connessa all’utilizzo strategico delle partecipazioni societarie dello Stato, sono tutt’ora disciplinati dal decreto del Mef del 18 giugno 2004 n. 59627, dal momento che «la Cdp Spa è tenuta a consultare preventivamente il Ministero» e «ad attenersi alle indicazioni motivate dello stesso ove difformi dalla proposta formulata», si legge nel decreto. E ancora: «Qualsiasi atto di disposizione e/o trasferimento avente ad oggetto, in tutto o in parte, le Partecipazioni Trasferite e i relativi diritti di voto è preventivamente concordata con il Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento del tesoro».

L’influenza del Mef non è circoscritta all’individuazione di una serie di criteri espliciti, ma è segnata da un’elasticità significativa ed estensiva: «A fronte di un potere tanto ampio, esiste un tema di opacità di rapporti: le indicazioni minuziose che il Mef può fornire, in base a questo decreto ministeriale, su operazioni societarie o attinenti a strumenti finanziari, non vengono formalizzate per iscritto. Sarebbe invece necessario garantire la trasparenza dei processi decisionali, come già avviene nel caso delle società in controllo pubblico disciplinate dal Testo unico delle società pubbliche, assicurando l’accountability del decisore pubblico, cioè del Mef», nota Maltoni.

L’intero meccanismo – culturale e giuridico, politico e amministrativo – va meglio chiarito e meglio ricalibrato. Soprattutto se Cdp continuerà, appunto, a essere sempre invocata e spesso trattata come la madonna da portare in ogni processione.

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