Nei terreni agricoli liberati dalla Ue spazio alla coltivazione di mais e semi oleosi
I 200mila ettari sbloccati dai vincoli della Politica agricola di Bruxelles ridurranno la dipendenza dell’Italia in due segmenti decisivi
di Giorgio dell'Orefice
3' di lettura
Sono stati investiti a mais e semi oleosi buona parte dei 200mila ettari di terreni coltivabili svincolati dagli obblighi della Politica agricola Ue che andranno così a mitigare la dipendenza dell’Italia in due segmenti importanti.
Il mais è infatti la base dell’alimentazione animale e poter avere a disposizione una quota suppletiva di produzione nazionale sarà certamente di aiuto alle imprese della filiera zootecnica, tra quelle più esposte all’ondata di rincari delle materie prime. I semi oleosi, e in particolare la colza, hanno attratto invece gli investimenti delle aziende perché anche in questo settore la non autosufficienza dell’Italia è stata aggravata dal conflitto tra Russia e Ucraina visto che quest’ultima è tra i principali player mondiale dell’olio di girasole.
Si tratta del primissimo bilancio che è stato possibile effettuare sui terreni che Bruxelles ha sbloccato dai vincoli Pac. La Politica agricola comune, infatti, prevede che poco più al 4% delle superfici agricole Ue (pari a circa 4 milioni di ettari) vengano ogni anno “congelate” o per essere messe a riposo (e quindi favorirne un recupero in termini di fertilità) o comunque vincolate agli obblighi di rotazione colturale.
La richiesta di riportare questi ettari in produzione è stata avanzata dagli stessi Stati membri alla Commissione ben prima dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. E questo perché lo scenario sul mercato delle commodity agricole era già in una condizione critica prima dello scoppio della guerra, ed è sensibilmente peggiorato dopo.
La tempistica con cui la deroga agli obblighi della Pac è stata autorizzata poi, non ha consentito di incidere su alcune delle produzioni agricole particolarmente esposte al deficit di offerta e quindi alle speculazioni sui prezzi. Il via libera Ue è arrivato, infatti, a marzo e il decreto attuativo italiano appena qualche giorno fa. Questo per chiarire che le semine autunnali di grano duro e grano tenero erano già abbondantemente state effettuate, tanto è vero che a giorni comincerà la raccolta.
«Si è puntato su mais e semi oleosi con una prevalenza di questi ultimi – spiegano a Confagricoltura – perché il mais richiede grandi quantità d’acqua e la sua coltivazione è complicata da un’annata siccitosa come il 2022. I semi oleosi, invece, sono stati scelti perché rispetto al mais oltre ad aver bisogno di meno acqua richiedono anche un minor apporto di fertilizzanti».
Rafforzare la produzione di semi oleosi di certo potrà certo dare un contributo a mitigare le turbolenze del settore dopo il buco d’offerta legato al girasole ucraino (in Spagna in sostituzione degli oli di semi stanno aumentando l’uso di olio d’oliva nella ristorazione e nell’industria alimentare) ma ora serve prorogare le deroghe e incidere anche sulla produzione di grano duro e tenero.
In questa ottica è partito il pressing sulla Commissione per arrivare a una nuova deroga che non riguardi più la vecchia Pac, ma la nuova riforma che entrerà in vigore dal 1° gennaio 2023, in modo da poter utilizzare le superfici riportate in produzione per rafforzare le semine di grano già dal prossimo autunno.
Lo scenario sul fronte dei cereali è infatti preoccupante. Per effetto della contrazione dei raccolti in Ucraina, secondo i dati emersi nel corso dell’ultimo Consiglio Ue a Bruxelles, la produzione mondiale è stimata a quota 2,2 miliardi di tonnellate, 40 milioni di tonnellate in meno rispetto alla campagna precedente.
«Il problema – spiega il responsabile tecnico della Coldiretti, Alessandro Apolito – è che la Commissione è troppo timida su questo punto: una deroga per un anno non basta. E che non sarebbe bastato era chiaro fin dal momento in cui il primo carro armato russo ha messo piede in Ucraina. Il territorio ucraino è distrutto, i terreni coltivabili sono disseminati di mine. Anche dopo che si saranno concluse le ostilità per anni non sarà possibile tornare a produrre. Questo significa che da Bruxelles ci attendiamo una soluzione pluriennale. Non una deroga anno per anno. Gli agricoltori hanno bisogno di certezze per investire». «Con uno scenario chiaro – prosegue Apolito – sarà possibile non solo utilizzare al meglio i 200mila ettari sottratti al riposo dei terreni ma anche parte degli 800mila ettari che negli anni sono stati abbandonati per mancanza di una redditività. Se l'Europa vuole essere indipendente deve aumentare e non ridurre lo sforzo sulla sovranità alimentare. La Cina oggi controlla il 65% degli stock mondiali di cereali. Se l’Europa vuole giocare un ruolo da protagonista deve indicare soluzioni a più lungo termine e rivedere in profondità anche la Pac e la strategia Farm to Fork».
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