Nel nome della madre il giudice ha superato il legislatore
Manca ancora una cornice legislativa per l’attribuzione del doppio cognome ai figli così come una legge per le detenute madri. La spinta in avanti di Consulta e Corte di cassazione
di Patrizia Maciocchi
I punti chiave
3' di lettura
Un anno fa la Consulta ha archiviato la regola del patronimico, considerandola in contrasto con il principio di uguaglianza fra i genitori. Sempre nel 2022 il giudice delle leggi, in un caso di prolungata detenzione del genitore, per evitare un «grave pregiudizio al figlio minore» ha previsto il ricorso alla detenzione domiciliare speciale, come misura alternativa per garantire la finalità di cura. Due passi importanti che restano in attesa di essere completati da un intervento legislativo che, in entrambi i casi, non sembra prossimo.
Il doppio cognome
Per quanto riguarda la legge sul doppio cognome le proposte di legge presentate all’inizio di questa legislatura, subiscono un rallentamento che mal si concilia con il duplice invito formulato dalla Corte costituzionale al legislatore con la sentenza 131/2022. Una richiesta di intervento per impedire che l’attribuzione del cognome dei due genitori comporti nel tempo un meccanismo moltiplicatore. Rimessa nelle mani del legislatore anche la valutazione dell’interesse del figlio a non avere un cognome diverso rispetto a quello di fratelli e sorelle.
Nella XVIII legislatura si era avviato l’iter di un testo unificato, partendo da cinque disegni di legge simili tra loro, per abolire la “supremazia” del patronimico affermata dall’articolo 262 del Codice civile, “caduto” dopo la sentenza 131. Con la nuova legislatura, a ottobre 2022, è stato presentato al Senato il Disegno di legge n. 2 sulla scia, con qualche modifica, del precedente testo unificato. Un Ddl che, in linea con la Consulta, prevede,in caso di disaccordo dei genitori il cognome di entrambi.
E, per evitare cognomi diversi nella stessa famiglia, precisa che i figli degli stessi genitori coniugati, nati successivamente e, dunque registrati dopo il primo figlio, portino lo stesso cognome di quest’ultimo. Per scongiurare “l’effetto Messico” con l’aggiunta di cognomi si prevede che il figlio, a cui sono stati attribuiti quelli dei due genitori, possa trasmetterne ai propri uno solo.
In questo quadro, c’è da registrare anche quello che sembra, almeno al momento, uno scarso entusiasmo per l’opportunità offerta con la sentenza della Consulta. Sarebbero infatti, in media, solo il 17% delle coppie a coglierla, mentre il resto dei genitori seguirebbe ancora la tradizione. A guardare avanti è invece, come sempre, il diritto vivente. Per la Cassazione infatti (sentenza 9293), anche dopo il riconoscimento della paternità biologica, la figlia ha il diritto di conservare il nome della madre senza aggiungere quello del padre, che deve però provvedere al mantenimento, compresi gli arretrati per gli anni di “latitanza”.
Madri in carcere
L’impasse sul fronte legislativo c’è anche per quanto riguarda le detenute madri e il diritto dei figli a non stare in carcere. Il 23 marzo scorso i parlamentari del Pd, dopo l’introduzione di modifiche restrittive, hanno ritirato le firme alla proposta di legge a favore delle detenute madri, che aveva ottenuto il via libera della Camera nel Governo Draghi. È quindi decaduto il provvedimento destinato a intervenire, a tutela del rapporto madri-figli minori, sul Codice penale e di rito penale, oltre che sull’ordinamento penitenziario e sulla legge che regola la detenzione domiciliare delle madri. Secondo i dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, aggiornati al 24 marzo 2023, le mamme recluse sono 23 con 26 bimbi al seguito. Mentre le mamme detenute, secondo l’associazione Antigone, sono circa 1.400.
L’idea alla base della proposta era di costruire più case famiglia con i fondi già stanziati - circa un milione e mezzo di euro - e togliere le donne incinte e con figli minori di 6 anni anche dagli istituti a custodia attenuata. Dopo il ritiro, la Lega ha depositato una sua proposta di legge, che chiude la porta al differimento in automatico della pena per le donne condannate incinte. Ma anche in questo caso il giro di vite, si scontra con i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità.
Con due sentenze la Cassazione ha affermato il diritto delle detenute madri a non stare in carcere, quando hanno figli di età minore ai 10 anni. È del 20 aprile 2023 la sentenza 16820, con la quale i giudici di legittimità hanno escluso che alla mamma di un bimbo di un anno, si possa negare il differimento della pena, sulla considerazione che i domiciliari possono essere «un importante strumento di crescita per la giovane donna». Con la decisione 18243 del 2 maggio scorso, la Suprema corte ha escluso il passaggio in carcere, per la madre con un figlio di meno di 10 anni, anche in caso di condanna per reati ostativi. Una tutela piena in attesa di riscontri.
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