Nel Recovery un piano per l’acqua: per investire c’è bisogno di imprese
di Claudio De Vincenti
3' di lettura
È possibile pensare a un Recovery and Resilience Plan che non abbia tra i suoi elementi centrali la soluzione del problema acqua nel Mezzogiorno d’Italia? La risposta è no, ed è un «no» tutt’altro che retorico e di maniera.
Le perdite elevate delle reti di captazione e adduzione e di quelle acquedottistiche compromettono la continuità della fornitura sia alla popolazione che alle attività produttive, contribuendo al divario sociale e produttivo con il resto del Paese. La carenza di reti fognarie e di impianti di depurazione adeguati danneggia le falde acquifere e la qualità dei mari, con effetti ambientali che si ritorcono sui cittadini e sulle prospettive di sviluppo dell’economia. Non solo, ma proprio la salvaguardia della risorsa idrica per la generazione presente e per quelle future, la sua disponibilità per tutti, la tutela dell’ambiente, la coesione sociale, sono parti essenziali del Green Deal da realizzare con le risorse di Next Generation EU.
Quali sono le cause che spiegano questo ritardo del Meridione? Solo in parte è questione di fondi. Il vero problema sta nel sistema di governance e di gestione del servizio che prevale nel Mezzogiorno bloccandolo rispetto al Centro-Nord. Alcuni esempi. Pesanti ritardi nella reale operatività degli Enti di ambito territoriale ottimale (ATO), che dovrebbero preparare i piani di sviluppo per i propri territori e affidare il servizio a imprese pubbliche o private in base ai loro piani di investimento. Scarsa presenza di gestori costituiti in forma di impresa, pubblica o privata, e al contrario larga prevalenza di enti e aziende locali condotte in modo burocratico e non manageriale, per non parlare delle gestioni dirette in economia da parte dei Comuni. In sintesi, carenza di regolatori locali competenti e di gestioni imprenditoriali, quindi con dimensione e cultura industriali. Risultato: inefficienze e incapacità progettuali, vetustà delle reti acquedottistiche, assenza di impianti di depurazione.
Questa situazione di arretratezza risulta poi consolidata dall’equivoco tutto ideologico che scambia per tutela della risorsa idrica come bene comune l’avallo di interessi particolaristici e politico-clientelari a mantenere lo status quo. Laddove la tutela del bene comune acqua richiede invece un assetto di regolazione forte che consenta di passare a gestioni del servizio in forma di impresa, le uniche in grado – sotto il controllo del regolatore pubblico – di organizzare la filiera acquedotto-fognatura-depurazione in termini industriali, e quindi efficienti nella salvaguardia del bene comune attraverso la riduzione delle perdite e il risanamento dei reflui.
In sintesi, il nodo da sciogliere è l'arretratezza del Mezzogiorno sul terreno regolatorio e gestionale. Il rischio è che le risorse del Recovery and Resilience Fund, anche per i tempi giustamente stringenti del loro impiego, siano utilizzate solo da regolatori e imprese idriche del Centro-Nord, mentre il Mezzogiorno resta paralizzato da interessi politico-clientelari che con la tutela del bene acqua non hanno nulla a che fare. Come rompere questa “morta gora” che costituisce la palla al piede di qualsiasi piano di sviluppo dei servizi idrici al Sud? È chiaro che, di fronte alle resistenze e ai ritardi che hanno impedito in tutti questi anni di applicare la normativa di sviluppo del settore, è necessario attivare al più presto una iniziativa del Governo che introduca significativi fattori di discontinuità. Si tratta di affiancare gli Enti d'ambito, in tutte le situazioni in cui non si sia ancora proceduto agli affidamenti del servizio come prescritto dalla normativa, con un soggetto controllato dallo Stato centrale e tecnicamente attrezzato. Esso dovrebbe procedere ad affidare con gara europea il servizio a imprese pubbliche o private per il tempo necessario a realizzare gli investimenti di risanamento e sviluppo e a garantirne una prima gestione efficiente, che sia preparatoria del successivo affidamento a regime da parte dei regolatori d'ambito nelle forme – in-house pubblica, società mista, concessione a terzi - previste dalla legge. Possibili soggetti adatti a svolgere quest'azione di affiancamento degli ATO nel varare le gare per la realizzazione degli investimenti sono per un verso Invitalia e per altro verso quella Società per l'approvvigionamento idrico dell'Appennino meridionale che da tempo il Governo avrebbe dovuto costituire in sostituzione dell'Eipli. Concretezza e niente ideologie: il Recovery Fund è l'occasione per realizzare il diritto dei cittadini del Mezzogiorno a servizi idrici efficienti.
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