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Nel solco delle luci di chi ora non c’è più

L’omaggio del Reggio Parma Festival alla coreografa, Leone d’oro a Venezia, ripercorre le tappe della sua carriera, per culminare nell’atteso «DEUX MILLE VINGT TROIS» in cui denuncia gli effetti nefasti del potere mediatico

di Roberto Giambrone

«May B», coreografia creata nel 1981 da Maguy Marin (Foto: Roberto Ricci)

3' di lettura

Tra gli eventi più significativi di una stagione teatrale segnata dallo spettro delle guerre e da altre minacciose catastrofi, spicca La passione dei possibili, l’omaggio tributato alla coreografa francese Maguy Marin da Reggio Parma Festival, associazione che annovera tra i suoi soci Fondazione Teatro Regio di Parma, Fondazione Teatro Due e Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, oltre ai Comune di Parma e Reggio Emilia.

Leone d’oro alla Biennale di Venezia nel 2016, Maguy Marin, figlia di immigrati spagnoli in fuga dalla dittatura franchista, formatasi alla scuola di Bejart e poi esponente di spicco della nouvelle danse francese, dopo oltre quarant’anni di carriera è forse oggi l’artista più in sintonia con i nostri tempi. Con il suo costante impegno per una danza militante, apocalittica ma ironica allo stesso tempo, che indaga le questioni, le ingiustizie e le aberrazioni del contemporaneo, la coreografa, considerata fuori moda (lei stessa si definisce démodé) in anni in cui un certo edonismo postmoderno dominava la scena, oggi torna ad essere un faro per i giovani, un esempio da seguire per indirizzare la creazione verso un nuovo umanesimo di cui si ha un gran bisogno.

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Fortemente critica nei confronti della società disumanizzante, consumistica, accecata dal profitto e dall’individualismo estremo, Maguy Marin continua a parlare alle nostre coscienze e ai nostri cuori con spettacoli come May B, creato nel 1981 ma ancora oggi considerato il manifesto di una danza esistenzialista, attualissimo nel suo descrivere una comunità smarrita e reietta ma solidale. Ispirato all’universo tragicomico di Samuel Beckett, lo spettacolo è stato riproposto al Regio di Parma lo scorso maggio come prologo del grande progetto che il Festival dedica alla coreografa. Patrocinato dall’Ambasciata di Francia in Italia, il programma entrerà nel vivo il 14 e il 15 novembre al Teatro Due con Singspiele, storica performance di Marin interpretata da David Mambouch. Oltre agli spettacoli, il palinsesto prevede anche proiezioni, mostre (a Parma sui quaderni di lavoro e documenti inediti della coreografa a cura di Paul Pedebidau; a Reggio Emilia con le foto di Piero Tauro) e incontri (imperdibile il 25 novembre al Teatro Due la conversazione con Marin e Olivier Neveux su Creazione artistica e implicazioni politiche).

In coda al festival, dopo i quattro spettacoli della Compagnie Maguy Marin che presentiamo nelle schede a fianco, il 16 dicembre all’Ariosto di Reggio la MM Contemporary Dance Company, diretta da Michele Merola, interpreterà due coreografie di Marin: Duo d’Eden, che vede un uomo e una donna in un paradiso perduto nel quale si intrecciano eros, violenza e amore, e l’anteprima nazionale della ripresa di una creazione del 2001, Grosse Fugue sulla musica di Beethoven, che sarà eseguita dal vivo nella versione per quartetto d’archi dai solisti dell’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento (vedi accanto l’approfondimento di Angelo Curtolo).

Ma gli occhi di tutti sono puntati sulla prima italiana del suo nuovo spettacolo, DEUX MILLE VINGT TROIS (2023), coprodotto da Reggio Parma Festival e programmato, nell’ambito del Festival Aperto, il 18 e 19 novembre al Teatro Cavallerizza di Reggio Emilia. Ad esergo della scheda dello spettacolo l’artista pone una riflessione sulla paura tratta dal Castello di Kafka, ma cita anche Walter Benjamin, Tucidide, Spinoza e due modelli teatrali: Antonin Artaud e Bertolt Brecht.

Proprio alla maniera di Brecht, Maguy Marin immagina un teatro politico, che smascheri le infamie e i soprusi del presente. In particolare, DEUX MILLE VINGT TROIS, che richiama le distopie (divenute oggi realtà) del Nineteen Eighty-Four di George Orwell, vuole denunciare gli effetti nefasti del pervasivo potere mediatico, della pubblicità occulta, degli influencer che hanno reso le nostre vite piatte e omologate, votate all’obbedienza, alla produzione e al consumo. Lo straniamento brechtiano serve alla coreografa per rendere ironici temi molto drammatici, che vorrebbe venissero interpretati dai suoi danzatori e danzatrici come avrebbe fatto il suo amato Karl Valentin nel cabaret politico degli anni Venti del secolo scorso, spingendoli a giocare col ritmo e con lo spazio. Lo scopo è quello di risvegliare le coscienze, proponendo un’opera destabilizzante, che incrini le nostre certezze, anche percettive. Si tratta, per Maguy Marin, di rendere giustizia alla memoria di chi ci ha preceduti, recuperando il patrimonio sommerso di pensieri, battaglie, ideali: «Tutti coloro che sono morti da secoli sono lì sotto i nostri piedi - scrive la coreografa -. Questi corpi, un tempo reali e ora diventati polvere, hanno lasciato tracce. Rendiamo visibili le piccole luci che brillano nelle tenebre».

Il sito ufficiale del Reggio Parma Festival

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