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Nell’era dell’AI scopriamo l’esigenza di nuovi modelli educativi

In futuro la scuola dovrà formare cittadini consapevoli dell’importanza di continuare ad apprendere e porsi domande

di Alessandro Cravera *

Il padre dell'AI: Se prende il controllo siamo tutti nei guai

4' di lettura

ChatGPT è stato lanciato il 3 novembre 2022. In 5 giorni ha raggiunto 5 milioni di utilizzatori e in 2 mesi ha superato i 100 milioni. Per raggiungere quel risultato TikTok ci aveva messo 9 mesi, Instagram 2 anni e mezzo e Whatsapp 3 anni e mezzo. Questo incredibile successo è avvenuto in una prima fase sull’onda dell’entusiasmo e dello stupore a cui, più recentemente, sono subentrate la paura e l’ansia per gli impatti che questa tecnologia provocherà sul lavoro e sulla società in genere.

È interessante leggere il dibattito che si sta creando intorno al tema dell’AI alla luce delle diverse forme di conoscenza che Aristotele aveva individuato: l’Episteme, ovvero la conoscenza universalmente valida (sapere perché una cosa accade), la Techne, la conoscenza tecnica basata sull’abilità (sapere come una cosa si realizza) e la Phronesis, la saggezza pratica che consente di sapere cosa dovrebbe essere fatto in una data circostanza.

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A partire dai primi anni del ‘900 la scienza è diventata popolare come mai prima di allora. Personaggi come Albert Einstein, Max Plank, Alexander Fleming e Marie Curie erano al centro dell’attenzione e alimentavano il dibattito sul futuro. Le scoperte scientifiche in tutti i campi del sapere aprivano nuovi orizzonti e creavano ottimismo per il futuro. Era l’epoca dell’Episteme, la conoscenza scientifica trainava l’evoluzione della società.

Dagli anni 80 del secolo scorso, nell’immaginario popolare gli scienziati sono stati sostituiti dagli imprenditori tecnologici. Figure come Bill Gates, Steve Jobs, Sergey Brin e Larry Page, fondatori di Google, e l’iconico Elon Musk, sono diventate le nuove stelle dei media. Le loro innovazioni hanno cambiato la società, l’economia e le relazioni tra le persone. Ciò che contraddistingueva questo passaggio di testimone tra scienziati e imprenditori tecnologici era la dimensione del “fare”.

Non ci si accontentava di aumentare le conoscenze dell’umanità attraverso le scoperte scientifiche. C’era bisogno di toccarne con mano la loro portata, utilizzando prodotti nuovi, impensabili fino a poco tempo prima. Questi anni sono stati caratterizzati dall’euforia per la Techne, da cui deriva il termine tecnologia, ovvero l’applicazione della scienza per migliorare la vita e risolvere problemi pratici.

Il recente lancio di ChatGPT è come se ci avesse fatto entrare in una terza epoca. Per la prima volta al centro dell’attenzione internazionale non ci sono esseri umani dal genio eccezionale, ma una macchina. Le potenzialità del chatbot lanciato da OPEN AI, dopo una brevissima fase di meraviglia ed eccitazione, hanno alimentato una serie di paure sull'impatto dell’intelligenza artificiale sul lavoro, l’economia e la società in genere.

A differenza del passato, la visione del futuro assume connotati meno ottimistici. I giornali riempiono le pagine con articoli che indicano le tipologie di mestieri che presto scompariranno e le stime parlano di un impatto molto significativo sui lavoratori. Non è questa la sede per approfondire questo aspetto estremamente importante per la nostra società e le nostre economie, soprattutto se questi cambiamenti avverranno troppo rapidamente. Ciò che vorrei qui sottolineare è che lo sviluppo dell’intelligenza artificiale non si può arrestare. Lo dovremo regolamentare per evitarne usi distorti e non etici, ma è impensabile fermarlo. Quindi che fare?

Se da una parte è opportuno prepararci all’impatto dell'AI dal punto di vista regolatorio e politico per evitarne usi distorti, gestendo al meglio le conseguenze sociali che ne deriveranno, dall’altra dobbiamo sviluppare una diffusa consapevolezza di come valorizzare le caratteristiche uniche dell’essere umano in un mondo sempre più dominato dalla tecnologia.

Se la prima parte del ‘900 è stata l’epoca dell'Episteme e gli ultimi 50 anni della Techne, il futuro sarà appannaggio della terza forma di conoscenza indicata da Aristotele, la Phronesis ovvero la saggezza pratica. Con questo termine si intende l’abilità di individuare la cosa giusta da fare in una certa situazione. Non tutta la realtà può essere affrontata con regole certe e standardizzate. Possiamo conoscere le leggi universali della fisica e imparare ad applicare la scienza alla tecnologia adottando protocolli d’azione determinati. In questi campi la conoscenza codificata e quella esplicita ci consentono di avere tutte le risposte ai problemi che affrontiamo.

Tutto cambia quando ci muoviamo in condizioni di incertezza dove non esistono regole e le leggi universali e le variabili non sono legate linearmente in maniera deterministica. Pensiamo alle dinamiche relazionali, alle scelte politiche, aziendali, educative, etiche. Non vi sono regole che assicurano che fare una certa azione assicuri il risultato atteso. In questi casi l'effetto dell’azione è sempre contestuale. Occorre interpretare la situazione, capire gli impatti di breve e di lungo periodo, bilanciare gli interessi in gioco e plasmare il contesto per renderlo migliore di come lo abbiamo trovato.

L’intreccio di queste abilità è alla base della saggezza pratica. Esse per definizione non sono modellizzabili attraverso algoritmi. La conoscenza su cui si basano non è codificata ed è in gran parte implicita. In pratica sappiamo (intuiamo) qual è la cosa giusta da fare in una certa situazione, ma non sappiamo spiegare perché.

In questa dimensione l’essere umano non è sostituibile dalle macchine, mantiene quindi un insuperabile vantaggio competitivo. È però importante sottolineare due aspetti. Il primo è che alcuni lavori sono interpretati dalle persone senza alcun accenno di saggezza pratica. Avviene ogni volta che il comportamento è indipendente dal contesto e si limita all’adozione formale a una serie di azioni previste dal ruolo. Mi riferisco, ad esempio, all’insegnante che legge ciò che è scritto nei libri e a cadenza periodica si limita a interrogare gli studenti e dare loro un voto; o al medico che, dopo un rapido ascolto, prescrive una ricetta al paziente.

Se svolte in questo modo, non vi è nulla in queste attività che non possa essere realizzato in maniera migliore da un algoritmo. Non c’è passione, adattamento al contesto e bilanciamento degli interessi e degli effetti nel tempo.

Il secondo aspetto da sottolineare è che il nostro modello educativo, alla luce degli ultimi sviluppi dell’AI, è eccessivamente sbilanciato su Episteme e Techne. Due aspetti su cui le macchine avranno sempre più un vantaggio su di noi. L’educazione del futuro dovrà invece dare molto più spazio alla Phronesis, allenando il pensiero critico e la capacità di contestualizzare.

In futuro la scuola dovrà formare cittadini consapevoli dell’importanza di continuare ad apprendere e porsi domande. Se il passato è stato dominato dalla conoscenza codificata ed esplicita, il futuro dipenderà da quanto nutriremo la conoscenza non codificata e tacita.

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