Nella consulenza olistica l’arte entra di diritto
I clienti la chiedono ai gestori: nel 2020 il valore delle collezioni pari a 1.481 miliardi dollari (5% delle attività) stimato in crescita nel 2025 a 1.882 miliardi
di Marilena Pirrelli
I punti chiave
3' di lettura
La fiducia è tornata nel mondo dell’arte. «I risultati del sondaggio di quest’anno mostrano chiaramente che il mercato dell’arte e della finanza hanno fatto molta strada da quando abbiamo lanciato il nostro primo rapporto nel 2011. Oggi, non è una questione di ’se’, ma di ’come’ l’arte dovrebbe essere integrata nelle gestioni patrimoniali e come i gestori debbano affrontare le sfide» è convinto Adriano Picinati di Torcello, direttore di Deloitte Luxembourg e coordinator del Global Deloitte Art & Finance presentando il settimo «Art & Finance Raport» di Deloitte Private realizzato in collaborazione con ArtTactic.
La ricchezza mondiale dei Paperoni (gli UHNWI) associata all’arte e agli oggetti da collezione è stimata in circa 1.481 miliardi di dollari nel 2020 (pari, si stima, al 5% delle loro attività finanziarie) che nel 2025 potrebbe raggiungere 1.882 miliardi. Un valore che può sviluppare nuove relazioni con i clienti, una consulenza olistica si dice oggi, e prevedere commissioni aggiuntive per gestire servizi volti a tutelare, valorizzare e sfruttare l’arte in collezione.
I clienti chiedono sempre di più ai loro gestori patrimoniali di aiutarli in questioni relative all’arte: dalla gestione del rischio alla rendicontazione, dalla valutazione alle analisi e informazioni di mercato. L’arte è una riserva di valore e una protezione contro l’inflazione, ma manca la competenza interna e sufficiente trasparenza nel sistema per farsi trovare pronti.
Asset class alternativa
«Con sempre più investitori che cercano di diversificare i propri portafogli in tempi di maggiore incertezza e lo sviluppo delle tecnologie e nuovi modelli di business, l’arte diventa ancora più interessante come asset class alternativa. Il valore emotivo e finanziario associato all’arte aiuta i gestori a creare un’esperienza più profonda e un rapporto più stretto con i propri clienti» spiega Adriano Picinati di Torcello che con Anders Petterson, Managing Director di ArtTactic, ha curato la ricerca.
Dall’indagine sulla gestione patrimoniale dell’arte condotta su un panel mondiale (388 interviste) composto da private banks, family office, collezionisti, professionisti dell’arte e art secured lenders emerge che l’arte è considerata parte dell’offerta delle gestioni patrimoniali per l’85% dei gestori (nel 2014 per il 53%), il 76% dei collezionisti e il 96% dei professionisti dell’arte. Inoltre il 69% dei gestori ritiene che l’industria dell’arte abbia bisogno di modernizzare le sue pratiche commerciali e che i professionisti dell’arte debbano cogliere la sfida. Tuttavia solo il 43% dei gestori ritiene che i clienti inseriscano la collezione nella loro pianificazione patrimoniale, in forte calo rispetto al 67% nel 2019. «Inoltre i family office e i collezionisti devono ancor più coinvolgere le future generazioni per conservare il valore delle collezioni» sono convinti gli analisti di Deloitte.
Nuove tendenze
Il sondaggio poi mette in luce una nuova tendenza: gli investimenti a impatto sostenibile nelle arti rappresentano il modello più attraente per il 28% dei collezionisti e il 31% dei professionisti dell’arte, e sono più popolari tra i giovani sotto i 35 anni. Nell’ultimo decennio è cambiato il modo in cui i collezionisti considerano le loro opere d’arte: pur continuando a collezionare col cuore, sono sempre più motivati da aspetti finanziari, considerando l’arte parte del loro patrimonio complessivo.
Continua a crescere infatti l’interesse per il prestito garantito dall’arte: si stima prudentemente che la dimensione di questo mercato potrebbe essere tra 24-28,2 miliardi di dollari nel 2021, con un tasso di crescita medio del 10,7%, per salire a 31,3 miliardi entro il 2022. Non mancano poi nuove opportunità d’investimento: il 33% dei gestori dichiara che i propri clienti hanno maggiore interesse per i token non fungibili (NFT), il 29% per la proprietà frazionata delle opere, il 25% per i fondi di investimento in arte e il 21% per l’impatto sociale degli investimenti in cultura.
Le differenze
Gli interessi sono divergenti tra le generazioni e, naturalmente, la tecnologia è un fattore abilitante per l’industria dell’arte. Dalla blockchain all’intelligenza artificiale e ai big data, la sua influenza nello sviluppo di nuovi modelli d’investimento artistico aumenterà. I collezionisti più giovani credono che la tecnologia e l’online rappresenteranno un importante punto di svolta nel settore dell’arte e della gestione patrimoniale nei prossimi due o tre anni.
Ma i temi caldi restano la gestione del rischio e la regolamentazione del mercato: l’autoregolamentazione rimane l’approccio preferito per stabilire fiducia e credibilità. Ma quest’anno, in controtendenza, un numero maggiore di collezionisti (47%) preferisce una chiara regolamentazione statale, rispetto al 22% nel 2019, con il 36% dei professionisti dell’arte d’accordo (28% nel 2019). Un segnale importante alla luce della tracciabilità della proprietà e delle regole sull’antiriciclaggio (AML) .
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