Nella “ronde” di Maguy Marin la ferocia del viver quotidiano
Umwelt, con le sue meschinerie di un'umanità assai poco umana, in prima nazionale al festival Oriente Occidente
di Silvia Poletti
3' di lettura
ROVERETO. Ammantato della fama di opera irritante e aggressiva (tanto che al debutto, nel 2004, il pubblico si scagliò letteralmente contro gli artisti in scena accusati di non danzare) Umwelt, il lavoro di Maguy Marin è stato presentato in prima e esclusiva nazionale a Oriente Occidente, a quasi venti anni dalla sua famigerata prima.
Debutto tardivo e retrivo? Oppure conferma di una potenza teatrale che trascende il tempo e nella sua assolutezza conferma la immaginifica poetica di un'autrice capace di osservare con acutezza e sardonica malinconia il mondo circostante e il fluire dell'esistenza? Il tempo ci dirà se siamo di fronte ad un ‘classico', come ormai il suo May B. con il quale, all'inizio degli anni '80 l'ex bejartiana Maguy entrava a gamba tesa nel nuovo teatro di danza postespressionista, allora in piena fioritura e poneva una seria alternativa alla visionarietà emotiva di Pina Bausch.
Umwelt (Ambiente)
È comunque già evidente che Umwelt (Ambiente), ripreso su richiesta di alcuni festival internazionali a distanza di anni dall'ultima rappresentazione, mantiene inossidabile la sua intenzione di fondo e arriva oggi, come venti anni fa, a insinuare il disagio, anche il malessere, certo una vaga inquietudine negli spettatori. I quali assistono per sessanta minuti a una sorta di ronde ininterrotta di una varia umanità che da sola, in coppia, a gruppo entra ed esce da un corridoio delineato da una serie pannelli a specchio percossi da incessanti folate di vento.
Gioco di entrate e uscite
Nell'interminabile gioco di entrate e uscite (già di per sé, se vogliamo, indicative del nostro passaggio su questa terra), si colgono frammenti di vita quotidiana: qualcuno sorseggia un caffè, qualcun altro inanella un atto amoroso, altri ancora si vestono, mangiano, fanno le loro minzioni, si menano, cullano bebè. Ogni tanto qualcuno si ferma e ci guarda, implicito riferimento alla comune condizione esistenziale. In questa interminabile carola i nove interpreti (come si diceva un tempo veri danza(t)tori, straordinari per la capacità di fondere il controllo nitido del movimento, anche minimale, e la naturalezza iperrealistica della loro presenza scenica, dei loro sguardi, delle interazioni) mantengono un ritmo costante, eppure man mano che si procede nell'apparente monotonia, la graffiante variatio tipica dell'autrice svela le più ordinarie crudeltà che si celano nelle nostre banalissime vite.
Meschinerie di un'umanità assai poco umana
I bebè prima cullati vengono scaraventati a terra e presi a calci con totale distacco; la fame fa scarnificare pezzi di carne poi gettati in mezzo alla scena; detriti da demolizione riempiono pian piano il palcoscenico, tra stracci e residui di mele appena addentate e poi buttate. Lo sguardo acuto e poco indulgente della coreografa ci tira in faccia, ancora una volta, le meschinerie di un'umanità assai poco umana, assorta nei piccoli egoismi personali, indifferente al vento che la sconquassa e all'assordante rumore che la (e ci) sovrasta, ingegnosamente creato da un semplice macchinario che produce suoni stridenti da tre chitarre elettroniche amplificate. La maestria compositiva è nella rigorosa, “coreografata” camminata dei personaggi, che muta impercettibile a seconda delle “situazioni”; nel sincronismo perfetto con cui compiono le azioni e, esigente, non prevede sbavature o sciatterie; nel modo meticoloso con cui si costruisce una movenza che sembra del tutto casuale eppure non lo è affatto. Ma anche nel gestire il ritmo della pièce, la sua apparente “piattezza”, che può portare lo spettatore al limite dell'insofferenza e invece riesce a fermarsi un secondo prima. E così facendo ci fa sorgere improvvisamente un sospetto: che si sia assistito ad una inesorabile, cruda, postmoderna Totentanz.
24-25 settembre Teatro Municipal, Porto ( Portogallo)2-3 febbraio 2022 Maison de la Danse Lione ( Francia)
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