Nelle scarpe di lusso spazio agli artigiani 4.0
di Ilaria Vesentini
3' di lettura
È l’orlatrice la figura professionale più importante per un’azienda calzaturiera focalizzata sul made in Italy di qualità, perché è la sua maestria manuale che tiene alla larga la concorrenza dei Paesi a basso costo. Non ha dubbi Enrico Ciccola, presidente del calzaturificio Romit di Montegranaro, cuore del distretto fermano della scarpa, su quale sia il profilo strategico per rilanciare la tradizione e la sapienza della calzatura italiana: è di artigiani nel senso rinascimentale più che di nerd digitali 4.0 ciò di cui ha bisogno l’imprenditore.
Romit da 40 anni realizza calzature uomo di altissima gamma come terzista per brand del lusso internazionali e a marchio proprio, e il fatto che su 70 dipendenti 60 siano impegnati in produzione (di cui 5 orlatrici) non lascia dubbi su quale sia il motore del valore aggiunto aziendale. «Servono 200 passaggi per realizzare una scarpa e servono mani pensanti per gestirli e risolvere eventuali problemi nella lavorazione. Gli artigiani in manovia sono ancora oggi, nell’Impresa 4.0, la leva più importante per la nostra competitività», rimarca Ciccola. Che è anche presidente della sezione Calzaturiera di Confindustria Centro Adriatico e ha fatto sua la battaglia a Bruxelles per il riconoscimento del marchio made in Italy al fine di salvaguardare i 77mila posti di lavoro garantiti dall’industria calzaturiera nazionale (e gli oltre 14 miliardi di fatturato con cui sostiene il Pil italiano).
Purtroppo orlatura e taglio sono state anche la prime funzioni che i piccoli imprenditori hanno delocalizzato di fronte alla crisi che in 15 anni ha dimezzato gli occupati e tagliato di due terzi i volumi produttivi di “100% made in Italy”. «Un’orlatrice in Italia costa 3mila euro al mese, nell’Europa dell’Est 150 euro. I conti sono presto fatti quando, su 100 euro di costo della scarpa, metà è dato dal lavoro. Così oggi orlatrici italiane se ne trovano sempre meno, quelle a domicilio sono sparite. Quelle ancora attive in azienda sono quasi tutte arrivate alla pensione, i giovani formati nelle scuole sono pochi, senza considerare che ci vogliono almeno due anni per imparare ad arte il mestiere», aggiunge l’imprenditore fermano.
A sostituire tagliatrici e orlatrici italiane (lavori di precisione coniugati al femminile più che al maschile, mentre tecnici uomini sono più presenti nelle fasi successive di montaggio-assemblaggio, fondo, fresatura, finissaggio) sono i cinesi in Italia, che lavorano in condizioni al limiti della legalità «e senza alcun know-how e capacità di intervenire se ci sono difetti nel processo. A quel punto – conclude Ciccola – i robot funzionano meglio, ma il ragionamento si sposta su grandi investimenti in tecnologia e grandi volumi di fascia medio-bassa, un segmento in cui il made in Italy è destinato a soccombere».
Anche il fresatore, l’artigiano che fresa la suola per lucidarla e finirla, è figura rara e preziosa che le aziende calzaturiere si contendono, arrivando a pagarla anche 3mila euro netti al mese. Contro uno stipendio medio per un entry level nel settore di 1.300 euro. Tramonta così anche lo stereotipo che siano solo straniere le giovani maestranze per il ricambio generazionale: ragazzi italiani pronti a lavorare nei distretti della scarpa si trovano, in cambio di un contratto sicuro. Le imprese che investono su qualità di prodotti e processi non rischiano di restare senza personale.
«Avere un brand forte, un prodotto di altissima qualità e una dimensione umana in azienda aiuta, anche in un territorio decentrato come San Mauro Pascoli, perché qui le persone possono fare la differenza», sottolinea Giuseppe Zanotti, presidente e designer delle linee romagnole Giuseppe Zanotti Donna, Uomo ready to wear e Giuseppe Junior. Che conferma la delicatezza e quindi la centralità del montaggio e dei professionisti addetti alla manovia per la sua società, ma anche la necessità di arricchire di competenze 4.0 vecchi e nuovi assunti, «perché il digitale non è un mondo separato dal nostro, permea e integra tutto, compresi i saperi artigiani», aggiunge il designer. E riconosce il ruolo chiave del Cercal, scuola professionale internazionale di San Mauro Pascoli che dal 1984 prepara (in collaborazione con 50 aziende consociate del calibro di Baldinini, Casadei, Pollini, Sergio Rossi, Vicini) le figure tecniche chiave per il settore, compreso l’artigiano digitale. «I giovani vorrebbero fare tutti lo stilista, ruolo cruciale per il successo di un brand, ma in azienda spesso ne basta uno, servono più tecnici e addetti alla produzione. Noi formiamo una sessantina di profili tecnici e modellisti ogni anno e il 70% viene inserito subito in azienda», spiega la direttrice del Cercal, Serena Musolesi.
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