Nello spazio la partita per controllare il pianeta Terra
In 36 mesi triplicheranno i satelliti ed entreranno nel vivo le missioni Luna 2 e Marte. La posta in gioco? La competitività di Usa, Ue e Cina
di Leopoldo Benacchio
4' di lettura
Lo spazio è strapieno di satelliti, qualcuno inizia a dire troppi. Oggi siamo a qualche migliaio, ma nel giro di 24, 36 mesi arriveremo a 3 volte tanto, o più. Se non si stabiliscono presto regole condivise e precise, che non tarpino le ali alla galoppante nuova economia dello spazio, sarà il primo traffic jam spaziale della storia. Quando diciamo qui “spazio”, parliamo dei primi 1000-1500 chilometri dal suolo terrestre, dove orbita più del 90% dei satelliti in funzione assieme, purtroppo, a centinaia di migliaia di pericolosissimi pezzi di spazzatura spaziale, derivata da scontri o esplosioni. Oltre quella distanza stanno praticamente solo i fondamentali satelliti geostazionari, come quelli dell’ottimo sistema europeo Galileo, che assieme all’altro grande programma della Ue, Copernico, rappresenta una scommessa industriale e tecnologica senza precedenti, a favore dell’autonomia strategica del Vecchio continente.
È una crisi di crescenza, impetuosa, che va gestita al più presto, e un ottimo indicatore che va alla grande la New Space Economy, in cui l’Italia è in pole position nella partita che si sta svolgendo, dato che abbiamo l’intera filiera dello spazio, dalla costruzione di satelliti al lancio, dal controllo in orbita alle telecomunicazioni terra-cielo, per finire con la gestione dei dati ricevuti, campo che sta assumendo un valore, anche economico, importante.
Il punto chiave è che, se possiamo dirla in modo fantasioso, la Terra ha espanso la sua zona di influenza a questi primi 1500 chilometri di spazio in cui tutti questi satelliti sono oggi strumenti fondamentali per la vita sulla Terra, dalle comunicazioni alla sorveglianza e sicurezza, dall’agricoltura alla difesa militare.
I giocatori in campo sono cresciuti in modo esponenziale negli ultimi 5 anni: 84 Stati sovrani, grandi e piccoli, ricchissimi o molto poveri, hanno lanciato satelliti a tutt’oggi, ma l’accesso allo spazio è oramai sempre più dei cosiddetti privati, che spediscono intere costellazioni di satelliti, ad esempio per distribuire la Rete letteralmente dappertutto. SpaceX di Elon Musk, recentemente arrivato a essere fra i tre uomini più ricchi al mondo, lancia 60 satelliti alla volta e vuole arrivare, con la sua costellazione Starlink che sta riempiendo il cielo di tracce luminose, a 15.000. Planet, l’apripista delle costellazioni private partita anni fa, ha invece 351 satelliti in funzione con cui vende ogni tipo di servizio derivato dall’osservazione della Terra, dall’educazione al marittimo, dall’agricoltura alle assicurazioni.
Le ragioni principali di questa esplosione si riassumono nel progresso nelle tecnologie, dall’elettronica ai nuovi materiali, alla robotica e nell’ abbattimento verticale dei costi, che permette oggi a chiunque di accostarsi allo spazio.
Tutto questo cambia anche gli equilibri geopolitici fra i grandi Stati, Usa e Cina in testa, che si contendono l’aiuto, interessato, ai Paesi che entrano nel campo da gioco spaziale.
Paradigmatico l’esempio di ETRSS-1, medio satellite etiopico, finanziato e lanciato dalla Cina, che sorveglierà l’agricoltura di quel martoriato Paese africano. La Cina, d’altra parte, ha recuperato in pochi anni il divario con gli altri Paesi leader nelle attività spaziali, in questi giorni ha spedito una missione sulla Luna, Chang’e 5, per riportarne materiale a Terra, cosa che non si fa da decenni e prelude allo sfruttamento minerario del nostro satellite.
Già questo classifica la Cina come il vero rivale degli Usa, ma in più il Paese del Dragone ha una strategia che vede molto lontano. Mentre qui da noi si ragiona sul 5G futuro, il 6 novembre ha preso tutti in contropiede mettendo in orbita il primo satellite per le trasmissioni 6G, tecnologia del futuro remoto, velocissima, fino a 100 gigabit nelle bande del Terahertz, ma molto delicata.
Come per SpaceX e gli altri privati, che fanno per definizione business, il timore, è che si instaurino dei monopoli di fatto, in assenza della più elementare regolamentazione, da cui poi sarà impossibile uscire. Anche se sembra assurdo, nello spazio oggi vige la regola del “chi prima arriva meglio alloggia”, ma presto non ci sarà più posto per altri, dato che le orbite possibili, alle quote che abbiamo detto, non sono infinite, anzi.
Gli Usa invece ci provano con il programma Artemis, che porterà la prima donna a calcare il suolo lunare fra 4 anni, ma che prevede anche la costruzione di una stazione orbitale attorno al nostro satellite, una città Lunare, l’estrazione di materiali seleniti per usarli sulla Terra e anche la partenza da lì per Marte, vecchia e stupenda idea avanzata nel 1948 da Werner von Braun, il padre dell’astronautica occidentale. La domanda è cosa farà il presidente eletto Joe Biden di questo programma così importante, ma anche costoso, in cui l’Italia è perfettamente inserita con le sue imprese principali, da Thales Alenia a Leonardo e OHB Italia, e la lista delle Pmi interessate sarebbe molto lunga. Cosa farà il democratico Biden nei prossimi anni, nel post epidemia, che onestamente nessuno può capire quanto costerà e quali e quanti danni dovranno essere riparati, anche di struttura, come il sistema sanitario? Ogni volta che cambia un presidente in Usa cambia anche la politica spaziale, questo è oggi il problema. C’è da aspettare che la transizione, iniziata anche per Nasa, abbia termine e inizi il nuovo periodo, gli Stati sono lenti. Forse anche per questo su Marte ci arriverà prima Elon Musk, libero di fare quel che vuole e con abbastanza soldi per farlo.
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