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Nessuno pensa ai clienti delle banche

I tassi negativi non ci sono più da oltre un anno e andrebbero ripristinati i maggiori tassi e le minori spese precedenti alla modifica peggiorativa introdotta negli scorsi anni

di Gianfranco Ursino

2' di lettura

La stagione delle trimestrali delle banche è terminata e la tassa sugli extraprofitti – nata male e finita peggio – non ha portato alcun beneficio per le casse dello Stato. Il governo sperava di incassare intorno ai due miliardi, ma come era plausibile le banche hanno preferito destinare a riserva un multiplo (2,5) dell’imposta, piuttosto che versarla allo Stato per le destinazioni prospettate a favore di famiglie e imprese.

Nel mese di ottobre, secondo gli ultimi dati diffusi in settimana dall’Abi, è salito a 3,58 punti base il differenziale fra il tasso medio di tutti i prestiti in essere (4,7%) e quello medio sulla raccolta (1,12%) applicati a famiglie e imprese. Un valore che cresce mese dopo mese e che contribuirà a portare gli utili 2023 delle banche alla cifra record di 40 miliardi di euro (stima Fabi). Per i sindacati dei bancari, questi risultati sono anche frutto dell’impegno quotidiano di chi lavora in banca e rivendicano aumenti di stipendio.

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Tutto legittimo, ma ai clienti delle banche chi ci pensa?

Nell’indifferenza generale è caduto nel dimenticatoio il richiamo del febbraio scorso di Banca d’Italia che - considerato l’aumento dei tassi - sollecitava le banche, che in passato per i tassi negativi hanno azzerato la remunerazione dei depositi in conto corrente e aumentato gli oneri a carico dei clienti, a rivedere le condizioni in senso favorevole ai clienti.

Senza entrare nel merito del mancato deciso rialzo dei tassi sui depositi, a far lievitare gli utili delle banche hanno contribuito in misura significativa anche gli extra oneri e i canoni che le banche hanno introdotto negli anni scorsi adducendo il giustificato motivo del sopravvenuto scenario dei tassi negativi che ora, però, sono solo un lontano ricordo. Una maggiorazione dei costi a carico dei correntisti che non ha più motivo di esistere.

Ma l’appello di Banca d’Italia agli istituti di credito di innestare la retromarcia e ripristinare le precedenti condizioni contrattuali più favorevoli alla clientela è ormai caduto nel vuoto. Solo un esiguo numero di banche ha fatto dietrofront riducendo i costi aggiuntivi caricati ai clienti.

La moral suasion dell’authority non è stata quindi sufficiente. A questo punto potrebbe pensarci il Governo con un chiarimento normativo sull’articolo 118 del Tub, sulla falsariga dell’intervento fatto dal Mise nel 2007, per ribadire l’obbligo per le banche di ripristinare le condizioni contrattuali qualora venga meno il motivo comunicato in precedenza ai clienti per giustificare la modifica peggiorativa. Occorre fare un ulteriore pressing su chi non vuol sentire, sebbene la dinamica sottesa all’art. 118 del Tub in realtà sia già molto chiara: il contratto prevede condizioni che possono essere cambiate unilateralmente dalla banca qualora (e fino a quando) sussista un giustificato motivo. Se quest’ultimo viene meno (in questo caso i tassi negativi non ci sono più da oltre un anno), le condizioni contrattuali (tassi e spese) precedenti la modifica peggiorativa andrebbero quindi ripristinati.

Riproduzione riservata ©
  • Gianfranco UrsinoResponsabile Plus24

    Luogo: Milano

    Argomenti: Fondi comuni, Etf, Assicurazioni, Conti correnti, Conti deposito, Mutui, Polizze fideiussorie, Anatocismo, Usura, Risparmio postale, Libretti Coop, Banche, Borsa, Consob, Banca d’Italia, Abf, Acf, Oam, Ocf, Consulenza finanziaria, Fondi pensione, Casse di previdenza, Fintech

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