Netflix, Disney+, Quibi, tv tradizionali: la guerra tra schermi torna in salotto
di Giampaolo Colletti
4' di lettura
In queste settimane da lockdown il futuro dell’industria dell’audiovisivo passa per le strade assolate ma deserte di Los Angeles. Una sfida paradossale all’ultimo pixel tra cinema e rete. Con una virata netta dal grande al piccolo, anzi piccolissimo, schermo. Così le star hollywoodiane hanno scelto di abbracciare le nuove forme di scrittura cinematografica per gli smartphone.
«I contenuti creati dagli utenti sono stati fondamentali per promuovere nuove abitudini, ma in un momento in cui si cercano distrazioni bisogna scommettere sulla qualità»: così al Ces di Las Vegas 2020 – uno degli ultimi eventi live prima del distanziamento sociale – Jeffrey Katzenberg, un passato da top manager in Disney e in Dreamworks e un presente da startupper, persuadeva la platea a credere nella sua nuova impresa. Una tv miniaturizzata fruibile esclusivamente sui dispostivi mobili. E soprattutto da sgranocchiare con “piccoli bocconi”.
In fondo è questo il significato di Quibi, servizio di streaming a pagamento. Cucina stellata, altro che fast food. Per questa operazione Katzenberg ha corteggiato Hollywood: Jennifer Lopez, Idris Elba, Bill Murray, Sophie Turner, Steven Spielberg, Chrissy Teigen. Lancio
programmato il 6 aprile. Ma nel frattempo il mondo è cambiato totalmente: così se prima della pandemia Quibi avrebbe dovuto allietarci in fila da Starbucks o in metropolitana, oggi va a competere nel salotto di casa con i colossi Netflix, Disney+, Amazon. E in fondo con tutti noi.
Perché la piattaforma è in controprogrammazione con la tv verticale popolata dai giovanissimi tiktoker: la piattaforma cinese TikTok oggi è attiva in oltre 150 Paesi, tradotta in 75 lingue e popolata da un miliardo di utenti che producono contenuti di una quindicina di secondi. «Con Quibi la televisione si è ristretta e l’effetto è vederla in miniatura», argomenta Mike Hale in modo critico sul New York Times.
Tv fai-da-web
Dagli snack video di prima classe con Quibi alla tv autoprodotta: oggi la socialità perduta rinasce in uno tsunami di streaming, con una moltiplicazione di format seriali, interviste in streaming, tutorial fatti in casa. Nel tempo dell’isolamento forzato tutti si sono riversati su smartphone e tablet: per Comscore il traffico dati è cresciuto del 68% a marzo. Anche Apple ha raccontato questa nuova creatività casalinga con un video su YouTube che ha superato in pochi giorni il milione di views.
«Oggi siamo tutti prosumer e come diceva Marshall McLuhan già nel lontano 1976 “everybody a broadcast”. Tutto ciò ha cambiato completamente il rapporto tra i pubblici», afferma Derrick de Kerckhove. È il potere editoriale diffuso, con la trasformazione dei pubblici del passato che mutuano in produttori di contenuti. Ed è la conferma della teoria di Nicholas Abercrombie e Brian Longhurst, sociologi britannici che trent’anni fa teorizzarono l’ascesa dei performer: lo spettacolo deborda dai confini naturali per invadere tutti gli spazi interstiziali della vita quotidiana.
Così anche la profezia di Negroponte del Duemila – «Verrà un giorno nel quale ognuno potrà costruirsi la tv e il palinsesto personale» – trova oggi conferma. Un grande esperimento collettivo dettato dall’abbattimento dei costi di produzione e da una maggiore alfabetizzazione al digitale. «Il lockdown segna un passaggio epocale per le persone che scoprono un mondo sconosciuto.
I tutorial rappresentano lo snodo attraverso il quale per la prima volta molti stanno imparando a interrogare il proprio schermo, a chiedere qualcosa di più alla loro televisione. Le lezioni di yoga o gli how-to diventeranno qualcosa di irrinunciabile anche a emergenza finita. Ci ritroveremo tutti con maggiori competenze rispetto a ciò che può offrire il mondo digitale», afferma Alberto Marinelli, direttore del dipartimento di comunicazione e ricerca sociale all’Università La Sapienza.
Sfida aperta tra TV
Ma la battaglia coinvolge anche gli schermi di un tempo tornati strategici. A Cleveland il canale via cavo Fox 8 s’è inventato un format di trenta secondi geniale e al tempo stesso banale: sigla di testa, sigla di coda e nel mezzo un cartello grafico con un calendario sfogliabile e il conduttore Todd Meany che ricorda il giorno della settimana. Una bussola per gli americani disorientati dalla clausura casalinga.
«Ogni piattaforma ha in questo momento una straordinaria occasione per ripensare il proprio ruolo all’interno di un ecosistema che è sempre più connesso e ibrido. La tv generalista può mettere a valore la sua funzione più rilevante: quella di creare eventi in cui usciamo dalle nostre nicchie di interesse per ritrovarci tutti insieme a ragionare del nostro complicato futuro», precisa Marinelli.
La tv torna centrale con nuovi formati, linguaggi, dinamiche di relazione. «Dobbiamo dirlo chiaramente: oggi abbiamo accesso al mondo grazie a uno smartphone. Siamo al rovesciamento della proporzione tra reale e virtuale. Per continuare a comunicare ci troviamo tutti nella condizione di passare al digitale. I format di questi schermi sostituiscono oggi le forme di relazione umana e aggiungono la possibilità di una memoria storica», precisa de Kerckhove.
Emerge un ecosistema in cui la necessità di interazione diventa condizione essenziale per una soglia di attenzione molto più labile. «Non abbiamo più la stessa pazienza verso prodotti chiusi e preconfezionati. Abbiamo bisogno di partecipare, di connetterci reciprocamente», conclude de Kerckhove. Ma in questa polverizzazione di schermi nel nostro stream senza soluzione di continuità un interrogativo resta aperto: se tutti siamo impegnati a parlare, chi ascolta?
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