Nibali: «Nessun rimpianto per il ritiro ma il ciclismo continua ad appassionarmi»
L’ex campione siciliano ha lasciato in esposizione tre magnifiche biciclette al Museo Alessandria città delle Biciclette, intrattenendosi a parlare con alcuni alunni delle scuole
di Dario Ceccarelli
6' di lettura
Toh, chi si rivede! Vincenzo Nibali. Il nostro caro vecchio Squalo, l’ultimo corridore italiano che, in attesa di qualche degno erede (un Ganna nelle classiche per esempio), susciti ancora rispetto e soggezione in un ciclismo dominato dai giovani leoni che non hanno paura di nulla e di nessuno. Parliamo dell’olandese Van Der Poel, fresco vincitore dell’ultima Sanremo, del belga Wan Aert e dello sloveno Pogacar, il nuovo Merckx del ciclismo mondiale.
Giovani leoni sempre pronti a darsi battaglia come hanno fatto nella Sanremo e come faranno questa domenica 2 aprile al Giro della Fiandre, la classica dei muri che in Belgio conta più di una finale di Champions e che porta più di un milione di appassionati a seguirla come se fossero allo stadio. Una giornata di sana follia che, oltre alla prova maschile, prevede anche la prova femminile e quella per amatori: 16mila ciclisti scatenati pronti a darsi battaglia prima sui pedali e poi davanti a uno spumeggiante calice di birra.
Direte: ma che cosa c’entra Nibali? Il nostro Vincenzo, tra baci e qualche lacrima di commozione, non si è ritirato l’anno scorso dopo ben 18 anni di carriera in cui ha vinto i tre Grandi Giri e due classiche “monumento” come la Milano-Sanremo e il Giro di Lombardia? Non avrà mica cambiato idea? Non avrà già nostalgia di tornare nel gruppo come capita a tanti illustri ex campioni che non riescono a rassegnarsi all’idea di fare un passo indietro, o di ripartire per una seconda vita meno al centro della scena?
No, tranquilli. Da siculo tosto, Nibali, 39 anni il 14 novembre, non ha cambiato idea, anzi. Sembra finalmente rilassato, disteso, ringiovanito, perfino più loquace del solito. Pronto a parlare di se stesso, del suo futuro, della vita e dello sport, degli avversari di un tempo e dei giovani leoni di oggi («È un ciclismo bellissimo, questi ragazzi si danno battaglia con un coraggio e una passione incredibili. E lo fanno da giovanissimi, già a vent’anni. Noi maturavamo dopo, verso i 26 anni, ma io non mi lamento, a me è andata bene così…»).
Insomma, un Nibali in gran forma dialettica ma anche fisica visto che arriva fresco fresco da una scammellata di 8 giorni in Sud Africa, dove ha partecipato in coppia con Samuele Porro alla Cape Epic, una delle più famose corse a tappe di Mountain Bike del mondo. «Eravamo gli “Italian Friends”… Siamo arrivati dietro, in tredicesima posizione, soprattutto a causa mia…», spiega sorridendo Vincenzo. «Non sono uno specialista, volevo divertirmi, fare una cosa che da professionista preferivo evitare per non rischiare di farmi male. E Infatti questa volta ho preso una gran botta alle costole. Ma non importa, ho visto paesaggi fantastici che rimarranno impressi per sempre nel mio cuore. Ma ho anche capito come siamo fortunati noi a vivere in Italia o in Europa. In Sud Africa, ricchezza e povertà estreme sono vicinissime, bastano pochi chilometri a separarle. A volte il contrasto è perfino imbarazzante. Spesso di queste realtà noi ce ne dimentichiamo».
Queste riflessioni, davanti a una platea calorosa di alunni delle scuole, Nibali le fa al Museo Città delle Biciclette di Alessandria dove il corridore siciliano, oltre a concedersi con scioltezza all’incontro coi ragazzi arruolati come incalzanti reporter, ha lasciato in esposizione tre magnifiche biciclette, tre Wilier che Vincenzo ha utilizzato in corsa, alle quali è stata dedicata una splendida saletta del Museo di Palazzo Monferrato, il museo che ripercorre l’avvincente storia della bicicletta in Italia.
Un Nibali disinvolto, per nulla pentito della sua scelta di ritirarsi. «Sì, ragazzi, non ho rimpianti», dice Vincenzo di fronte a una bambina particolarmente curiosa. «Certe volte, quando vedo le corse in tv, mi viene voglia di essere lì, in mezzo al gruppo, di vedere i vecchi amici e i nuovi corridori che ogni anno arrivano. Subito dopo però la voglia mi passa… Mi basta pensare a tutti gli allenamenti di 4 e 5 ore al giorno che per 18 anni ho dovuto fare per essere competitivo. Una bella vita, certo, ma con tanti sacrifici…Credo d’aver avuto una buona carriera. Ho vinto corse importanti, certo mi manca un Mondiale e una Olimpiade… Ma non si può avere tutto… Un rimpianto particolare ce l’ho proprio per quella caduta ai Giochi di Rio, persi per un tubolare uscito di pochissimo dalla strada. Forse avrei vinto, chissà… Ma lo sport insegna anche queste cose: che ogni volta, quando perdi o non riesci a farcela, devi domandarti dove hai sbagliato per non cadere più nello stesso errore…. Essere campioni significa anche questo....».
Un altro alunno, molto concentrato, gli domanda: non ti è mai venuta voglia di mollare tutto…? «Beh, tante volte», precisa Nibali strizzando l’occhio. «Quando le gambe non girano, sempre viene voglia di fermarsi…. Poi guardavo le facce dei miei direttori sportivi e degli sponsor e cambiavo idea… Un brutto momento è stato al Tour de France 2018 quando, per colpa di un tifoso troppo focoso, sono caduto sulla salita dell’Alpe d’Huez fratturandomi una vertebra. A parte il dolore, ho avuto paura di non riuscire più a tornare competitivo come prima. Ma in quella salita è così: si preferisce privilegiare lo spettacolo che danno i tifosi alla sicurezza dei corridori…».
Sul tema della sicurezza si torna ancora. «Io nella mia carriera di rischi ne ho corsi tanti», osserva Nibali. «Però alla fine mi è andata sempre bene. I pericoli in strada comunque sono molti. Penso a Michele Scarponi a Davide Rebellin…. In Italia purtroppo siamo molto indietro. In Europa le piste ciclabili sono dovunque. E poi c’è una maggiore attenzione, un maggior senso civico. In Italia siamo molto indietro. Capisco quando alcuni genitori hanno paura di mandare i loro figli in strada in bicicletta. Penso sia meglio farli correre sulle Bmx in percorsi protetti, dove possono correre senza minacce esterne. Dopo, se vogliono andare avanti, possono farlo ma gareggiando in percorsi protetti….».
Il discorso torna sul ciclismo attuale, sul fatto che in Italia non c’è un nuovo Nibali…. «Sì, al momento non ne vedo all’orizzonte. A volte capita, bisogna aver pazienza….Su Ganna sono curioso di vedere cosa farà… Alla Sanremo l’ho visto bene, mi è piaciuto. Sul Poggio era con i migliori, con Van Der Poel, che poi ha fatto uno scatto pazzesco e in cinquecento metri li ha lasciati tutti indietro. Però Ganna c’era. Mi sembra insomma che sia sulla buona strada per far bene non solo a cronometro. Chi mi piace in modo pazzesco è Pogacar. È un corridore incredibile che dà sempre battaglia. A volte perfino troppo, ma è uno spettacolo guardarlo. Alla Sanremo gli è andata male, ma è sempre davanti. Forse nelle classiche dovrebbe essere più prudente, ma è ancora giovanissimo. L’esperienza lo aiuterà. Dei nuovi campioni ogni tanto mi rivedo in Remco Evenepoel. Mi entusiasma il suo modo di improvvisare attacchi che spiazzano gli avversari. Sono curioso di vedere cosa si inventerà ancora…».
Si parla anche della pressione, delle responsabilità di un capitano, di quanto possa pesare nell’attesa il ruolo di un campione. «Sì, mi è capitato dopo la vittoria al Tour del France nel 2014. Conquistare la maglia gialla è stato bellissimo. Dopo però la mia vita è cambiata. La pressione nei miei confronti è aumentata enormemente. La mia privacy ne ha sofferto. Dopo il Tour se non vincevo, si diceva che avevo deluso, che non ero stato all’altezza. Non puoi esserlo sempre. Per soffrirci meno, evitavo di leggere o ascoltare i commenti».
Un ragazzino audace chiede: c’era qualcuno nel gruppo che ti era antipatico? Che proprio ti innervosiva? «Beh, quelli molto anticipatici, li lasciavo perdere. Li evitavo. C’era un grande campione che a volte mi lasciava senza parole: Fabian Cancellara, ottimo passista, però a volte imprevedibile. Lo stimo, adesso è anche un buon dirigente. Ma certe volte era proprio insopportabile…». Saltano fuori piccoli aneddoti passati sottotraccia nel passato. Per esempio che il numero fortunato di Vincenzo, quello con cui ha vinto le corse più importanti, era il 31. Il Tour però l’ha vinto col 41, un numero mai più vincente alla Grande Boucle.
Ultima domanda: ma ora che hai smesso di fare il corridore non farai come quei papà che, quando vanno in pensione, stanno sempre sul divano davanti alla tv? «Beh, qualche volta non mi dispiacerebbe…. Però sono fatto diversamente…. Per questo sono andato fino in Sud Africa a fare quella faticaccia. Faceva anche freddo e pioveva. Devo fare però una confessione: noi corridori, quando smettiamo, dobbiamo stare attenti alla linea. Prima si mangiava per quattro, ma sudando mezza giornata in bicicletta. Ora ci vuol poco ad ingrassare. Io smaltisco bene, però la pancetta è sempre in agguato…».
Museo AcdB
Alessandria città delle Biciclette
via San Lorenzo 21
sabato e domenica 10-13, 16-19
ingresso gratuito
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