Nick Mason e il suo «scrigno pieno di segreti» dei Pink Floyd
di Francesco Prisco
2' di lettura
Floydiani di tutta Italia, riunitevi. Siete un popolo nutrito nei numeri, una fanbase attiva come poche altre qui da noi, una folla di fedelissimi che non rinnegherebbe per nulla al mondo il proprio culto. La settimana della musica dal vivo vi riserva una regalo preziosissimo. Anzi: uno «scrigno pieno di segreti», di quelli che piacciono a voi. Giovedì 20 settembre al Teatro degli Arcimboldi di Milano Nick Mason, batterista dei Pink Floyd, terrà l’unica data italiana del progetto Saucerful of Secrets, superband che mette in scena il repertorio floydiano delle origini, con i pezzi scritti dal padre fondatore Syd Barrett.
Una superband con Guy Pratt e Gary Kemp
Accanto a lui, sul palco, ci saranno il bassista Guy Pratt, storico turnista dei Floyd, il chitarrista degli Spandau Ballett Gary Kemp, Lee Harris dei Blockheads ancora alle chitarre e il producer Dom Bekem, già collaboratore di Pratt, alle tastiere. Il gruppo prende nome dal secondo album del corpus floydiano A saucerful of secrets (1968) e in quanto a repertorio copre l’arco temporale dei primi sei anni di attività della band di Cambridge. Ossia tutto quello che successe prima di The Dark Side of the Moon (1973), il concept album che diede ai Floyd grande notorietà internazionali, trasformandoli da fenomeno underground a icona mainstream della cultura britannica.
Viaggio alle origini dei Pink Floyd
Per i fan tutto ciò significa avere la possibilità di ascoltare dal vivo pezzi spesso invano «invocati» sotto il palco dei vari David Gilmour e Roger Waters. Si parte con Interstellar Overdrive, lo strumentale che animava le esibizioni dei Floyd delle origini e si prosegue con altre gemme dall’album di esordio The Piper at the Gates of Dawn (Astronomy Domine, Lucifer Sam, Bike), raffinatezze da Meddle (Fearless e l’immancabile One of These Days, l’unica traccia floydiana in cui Mason abbia impresso la propria voce, vero e proprio tormentone dell’indimenticabile Live at Pompeii), i singoli attorno ai quali Barrett costruì l’identità psichedelica del quartetto (Arnold Lane e See Emily Play), i primi intellettualismi watersiani (Set the control of the Hearth of the Sun, Let there be more light) e qualche visione idilliaca dal paradiso hippie di More (su tutte, la sempre commovente Green is the Colour). Per tutti quelli che avranno la fortuna di andarci: buon viaggio.
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