Niente modello veneto, ecco i cinque pilastri della riforma sanitaria
Le Ats rimarranno otto ma saranno sottoposte al controllo regionale. Si punta a separare l’attività ospedaliera dalla gestione dei patrimoni
di Sara Monaci
3' di lettura
Ecco le cinque mosse che cambieranno la sanità lombarda, a partire dalla fine di quest’anno. Il testo di legge deve ancora essere approvato in via definitiva, si prevede che a novembre avrà l’ok del Consiglio regionale. Alcuni punti vengono esplicitati, altri inseriti nelle pieghe della norma, altri saranno dettagliati successivamente in delibere. Intanto sono però sempre più chiare le linee guida del percorso.
Non si tratterà di una rivoluzione. Ma qualche modifica significativa potrebbe essere a breve messa in atto. Ecco i punti più significativi.
Più accentramento
Non ci sarà la tanto temuta Agenzia Zero, quella che la Lombardia sembrava dover copiare al Veneto. Le Agenzie di tutela della salute rimarranno le otto che conosciamo, sovrapponibili in gran parte con le aree provinciali. Finora è spettato a loro il potere di negoziare le prestazioni delle strutture private accreditate; il governo della presa in carico delle persone; il convenzionamento delle cure primarie; la promozione dei programmi di prevenzione e sicurezza alimentare e il monitoraggio degli indirizzi regionali e della spesa in materia farmaceutica.
Queste cose dovrebbero in gran parte rimanere, ma ci sarà un maggiore rafforzamento dell’assessorato al Welfare. In sostanza le attività delle Ats, seppure in modo ancora da definire, dovranno essere a loro volta sottoposte al controllo della direzione regionale. Sotto la lente in particolare la programmazione, pur non volendo rinunciare la Lombardia a dare voce ai territori.
Il rapporto con i privati
L’accreditamento delle strutture private rimane un caposaldo del sistema sanitario regionale. Si parla tuttavia di fase Tre (dopo l’introduzione del modello concorrenziale pubblico-privato con Formigoni governatore e del successivo pontenziamento voluto da Maroni-Fontana). In questa fase ci saranno ancora i finanziamenti, ma si comincia a parlare anche di «sostenibilità». C’è da aspettarsi che le prossime delibere servano anche a introdurre sistemi di controllo dell’operato dei privati. Si era parlato mesi fa del modello “bundle payement”, una via di mezzo tra il rimborso della prestazione e la verifica dei risultati.
Lo scorporo delle proprietà
Sulla scia di quanto già accaduto al Policlinico di Milano - dove sia gli immobili sia i terreni, frutto di donazioni secolari, sono stati conferiti a società ad hoc che ristrutturano, valorizzano o mettono a reddito -, la Lombardia intende separare l’attività ospedaliera dalla gestione patrimoniale. La società che dovrà controllare e gestire il patrimonio delle Asst (le aziende socio-sanitarie) potrebbe essere una partecipata regionale già esistente.
Il rapporto con le aziende
Per quanto riguarda il rapporto con il mondo delle aziende, la Regione vorrebbe un maggiore contatto con il mondo della ricerca e della clinica applicata, per far crescere il settore del biotech. Si tratta quindi di capire come far entrare nelle strutture ospedaliere, in particolare nei cosiddetti Irccs dove si fa già ricerca scientifica, le novità che le aziende farmaceutiche intendono sviluppare. Un tema delicato sotto il profilo giuridico, perché il settore pubblico deve seguire le regole degli appalti e non può favorire il business privato se non all’interno di precise regole. A fare da cerniera fra questi due mondi potrebbe essere la Fondazione regionale per la ricerca biomedica, che già distribuisce risorse locali e europee per progetti di ricerca.
Più territorio
È stato stanziato un fondo da 4 miliardi per l’edilizia sanitaria, che comprende sia la costruzione di piccoli ospedali di comunità che di case di comunità. Queste ultime saranno duecento e per realizzarle serviranno 700 milioni, di cui il 55% arriva dalle casse regionali, il resto dal Pnrr. Per i lavori si calcola un periodo tra i 4 e i 5 anni. Le case di comunità saranno una via di mezzo tra i vecchi poliambulatori e piccole strutture ospedaliere, con personale specializzato e macchinari per poter fare visite, sia programmate che in emergenza. La sfida è dunque il rafforzamento del territorio.
Anche le Asst verranno aumentate. Oggi sono circa una ogni 357mila abitanti, 27 in tutto. Ma la riforma prevede che ce ne siano una ogni 100mila abitanti, quindi un centinaio. Si punta dunque a incidere non tanto sulla gerarchia, quanto sulla capillarità delle strutture.
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