No al dissequestro dei beni di Salvatore Riina, inammissibile il ricorso del genero
Per i giudici le intestazioni a terzi, alcuni dei quali ora suoi eredi, erano fittizie, i beni erano nella disponibilità del capo dei capi, con un ruolo di vertice mantenuto anche durante la detenzione
di Patrizia Maciocchi
2' di lettura
Restano confiscati i beni intestati al genero di Salvatore Riina. La Corte di cassazione (sentenza 34839) bolla come inammissibile il ricorso di Antonino Ciavarello in qualità di terzo. Un ruolo che non lo legittima a censurare la misura adottata su beni che i giudici di merito hanno considerato solo formalmente intestati a terzi, alcuni dei quali ora suoi eredi, ma di fatto nella disponibilità del Capo dei capi. Un aspetto “procedurale” del tutto trascurato nel ricorso teso ad ottenere la restituzione di quote sociali e saldi di diversi conti correnti intestati al genero del boss di Cosa nostra. La confisca di prevenzione contestata, datata 2019, era il risultato di un decreto di esecuzione emesso dal Tribunale nei confronti di familiari ed eredi del capo mafia Salvatore Riina, deceduto il 17 novembre 2017.
I beni confiscati per circa un milione e mezzo di euro erano stati sequestrati a luglio 2017.
L’intestazione fittizia
Il ricorrente - fa notare la Suprema corte - ha adito il giudice di legittimità nella sola veste di terzo interessato, spendendo l’argomento del tempo trascorso tra l’acquisto dei beni da parte di terzi e i venti anni della carcerazione, mai interrotta, di Totò Riina. Un periodo tanto lungo da annullare il nesso temporale tra pericolosità sociale del “proposto” e l’acquisizione delle utilità oggetto della misura preventiva.
Per la Cassazione l’argomento sarebbe anche dirimente rispetto alla verifica della legittimità della misura, ma non poteva essere trattato dal ricorrente nel suo ruolo di terzo, per carenza di interesse. La tesi pertinente da confutare era, infatti, quella della fittizia titolarità dei beni confiscati, solo formalmente intestati a terzi, come accertato dai giudici di merito.
La pericolosità sociale del boss
La Suprema corte non ignora un isolato precedente secondo il quale il terzo, che rivendica l’effettiva titolarità dei cespiti, è legittimato non solo a contestare la fittizia intestazione ma anche a far valere l’insussistenza dei presupposti per applicare la misura nei confronti del proposto. I giudici di legittimità seguono il principio consolidato in base al quale per affermare la legittimità del ricorso occorre guardare al ruolo che il terzo assume nel procedimento di prevenzione. Pur non avendo un onere probatorio il terzo ha «tuttavia, ove lo ritenga opportuno, un onere di allegazione che consiste, appunto, nel confutare la tesi accusatoria». E dunque, nel caso esaminato, dimostrare che non si era in presenza di un’intestazione formale, indicando elementi a supporto dell’esclusiva proprietà. In assenza di questa prova pesa, ai fini del mantenimento della confisca, la pericolosità sociale di Salvatore Riina. «La pericolosità del proposto - si legge nella sentenza - infatti, è stata attualizzata guardando non solo al ruolo, di vertice incontrastato, riferito al suddetto rispetto ad un consorzio criminale tutt’ora attivo (aspetti che rendono evanescente il dato della carcerazione se rapportato alla figura criminale del Riina) ma anche ad indicatori fattuali concreti destinati ad implementare la perduranza di tale ruolo malgrado la detenzione protrattasi da più di un ventennio».
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