Cassazione

No alla registrazione del marchio che evoca il brand Gucci anche senza rischio di confusione

Il nesso indebolisce l’identità del marchio rinomato e può indurre il cliente che ama i beni esclusivi a scegliere brand con accessori lusso che non rischiano di sembrare contraffatti

di Patrizia Maciocchi

2' di lettura

La tutela rafforzata che spetta al brand forte prescinde dal rischio di confusione che si può creare tra i due marchi a causa della somiglianza. Il marchio rinomato va, infatti, messo al riparo dall’eventualità di essere abbandonato dalla clientela che lo sceglie per paura che il prezioso ed esclusivo accessorio griffato sia scambiato per uno “taroccato”. La Cassazione (sentenza 27217) scongiura questo pericolo e accoglie il ricorso della Guccio Gucci Spa, che contestava la registrazione di due marchi di una società cinese, per difetto di novità. Ad avviso della holding fiorentina i due “segni” altro non erano che il frutto di una contraffazione. Un argomento non condiviso dalla Corte di merito, che aveva puntato la sua attenzione solo sul rischio di confusione, escludendolo.

Ininfluente il rischio confusione

Per la Corte territoriale, infatti, il marchio “cinese” era diverso perché la gobba della “G” era riempita in neretto e il carattere era più sottile. I giudici di seconda istanza avevano valorizzato anche la rinomanza del marchio Gucci e la clientela particolare, certamente abituata a riconoscere la nota “griffe”. Conclusione, ovviamente, contestata dalla casa di moda, che rivendica la tutela rafforzata alla quale ha diritto il marchio forte e ricorda che nella valutazione, il pubblico da considerare è quello medio e non quello di riferimento della maison. La Cassazione accoglie il ricorso e rinvia alla Corte territoriale per un nuovo giudizio da dare, al netto degli errori commessi. Uno riguarda certamente il criterio del rischio confusione tra i segni in conflitto, scelto dai giudici di merito, per escludere la contraffazione. Considerazione che non tiene conto della tutela rafforzata che la legge italiana - in attuazione della direttiva Ce 89/104 - riconosce ai marchi rinomati. Una protezione che può prescindere del tutto dall’accertamento di un eventuale pericolo di confusione. Se è vero che occorre un certo grado di somiglianza tra i due brand, non occorre invece che questo sia tale da disorientare, il pubblico interessato.

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La disaffezione del cliente che ama lusso ed esclusività

Per il no alla registrazione o per accordare la tutela, basta infatti il vantaggio, che il marchio posteriore e non noto può trarre dalla rinomanza di quello già esistente. Il pregiudizio a quest’ultimo sta nella cosiddetta “diluizione”, che scatta quando risulta indebolita la sua identità e la presa nel pubblico di riferimento. Un danno definito anche “corrosione” per la perdita della forza attrattiva. Il risultato del parassitismo da parte del marchio “emulativo” può essere la disaffezione del cliente che ama l’esclusività. Non c’è dubbio, avverte, infatti, la Suprema corte «che una estesa commercializzazione di prodotti recanti segni identici o simili a marchi rinomati possa fondatamente cambiare le abitudini della clientela cui tali articoli sono normalmente indirizzati, soprattutto di quella che è orientata all’acquisto per il carattere esclusivo del prodotto, per l’elevatissimo target del medesimo, la quale - si legge nella sentenza - per non incorrere nel rischio che il suo costoso accessorio di lusso possa essere confuso con uno contraffatto, può dirigersi verso altre marche altrettanto rinomate».

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