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Nobel per la pace a Mohammadi, l’attivista iraniana in carcere

La neo premiata dal comitato di Oslo ha subito tredici arresti e cinque condanne per un totale di 31 anni di prigione e 154 frustate.

di Monica D'Ascenzo

In prima linea per i diritti. Narges Mohammadi (a destra) insieme con altre attiviste durante una protesta davanti al tribunale di Teheran del 2002

3' di lettura

«I pensieri e i sogni non muoiono. La fede nella libertà e nella giustizia non muore con la prigionia, la tortura e nemmeno con la morte. La tirannia non prevale sulla libertà». L’attivista iraniana Narges Mohammadi non ha ceduto ai tredici arresti e alle cinque condanne per un totale di 31 anni di prigione e 154 frustate. E ora il mondo conosce la sua battaglia grazie al Nobel per la Pace, assegnatole dal comitato di Oslo. Una scelta con forte valenza politica e lo si intuisce fin dalle prime parole della presidente Berit Reiss-Andersen, che prima dell’annuncio scandisce lo slogan delle proteste iraniane: «Donne, vita, libertà».

«Speriamo questo sia un incoraggiamento a continuare il loro lavoro nelle forme che il movimento troverà più adatte» ha commentato Reiss-Andersen, aggiungendo: «È in primo luogo e soprattutto un riconoscimento a un intero movimento in Iran di cui Mohammadi è leader indiscussa». E conferendo questo premio, il comitato di Oslo intende inviare al governo iraniano un messaggio affinché «ascolti il proprio popolo».

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La resistenza delle donne iraniane

Che Mohammadi e il movimento di protesta delle donne iraniane non intenda recedere di un passo emerge in modo potente dalle parole con cui l’attivista iraniana dal carcere di Evin ha commentato il premio: «Il sostegno globale e il riconoscimento della mia difesa dei diritti umani mi rendono più risoluta, più responsabile, più appassionata e più fiduciosa. Spero anche che questo riconoscimento renda gli iraniani che protestano per il cambiamento più forti e più organizzati. La vittoria è vicina», riporta il New York Times.

E nei giorni scorsi l’attivista aveva scritto alla Cnn: «Questo è stato ed è il momento della più grande protesta in questa prigione». L’emittente americana era riuscita anche ad avere un audio in cui Mohammadi guida le altre detenute che cantano la versione in farsi di “Bella Ciao”, diventata la canzone manifesto del movimento delle donne iraniane.

Un nuovo caso “Mahsa”

Un nuovo faro acceso su un movimento che aveva guadagnato le cronache un anno fa e poi sembrava essere scomparso dall’agenda politica internazionale. Ora il Nobel ha riportato l’attenzione sugli ultimi avvenimenti, che hanno come protagonista Armita Geravand, una ragazza 16enne in coma da domenica dopo essere stata picchiata dalla polizia morale perché non indossava correttamente il velo nella metropolitana di Teheran. La madre della ragazza, che chiedeva spiegazioni, è stata arrestata.

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Le immagini del suo corpo scaricato da uno dei vagoni hanno fatto il giro del mondo. Eppure, nonostante le condanne dei Paesi occidentali, la diplomazia internazionale poco ha costruito in quest’ultimo anno per portare il Paese a un maggior rispetto dei diritti umani.

Chi è Narges Mohammadi

Narges Mohammadi, classe 1972, è un’attivista per i diritti civili fin dai tempi in cui studiava fisica all’università, quando fondò con altri il gruppo degli “Studenti illuminati”. Già negli anni 90 entrava e usciva di prigione, per aver sostenuto la campagna elettorale del riformista Mohammad Khatami, eletto presidente nel 1997 e nel 2001 grazie al voto delle donne e dei giovani.

Nonostante i rischi anche per la sua vita, Mohammadi non ha mai voluto lasciare il Paese e ora vive in carcere con gravi problemi di salute, tanto che Amnesty International ha più volte denunciato il fatto che non le vengano riconosciute cure adeguate e le vengano sospese le medicine per il cuore.

Le richieste di liberazione

Il Nobel ha avuto il merito di moltiplicare ora le dichiarazioni a sostegno non solo della neo premiata ma di tutto il movimento. «Le donne iraniane sono state un’ispirazione per il mondo. Il loro coraggio e la loro determinazione di fronte alle rappresaglie, alle intimidazioni, alle violenze e alla detenzione sono stati notevoli», ha dichiarato Ravina Shamdasani, portavoce dell’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra, chiosando: «Chiediamo il suo rilascio e quello di tutti gli altri difensori dei diritti umani detenuti in Iran». Dall’Iran l’agenzia stampa Fars liquida il Nobel dato dagli «occidentali» così: Mohammadi è stata premiata «per le sue azioni contro la sicurezza nazionale dell’Iran».

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