Nobel per la pace, quel tentato golpe in Etiopia che rischiò di detronizzare Abiy Ahmed
Ero a Bahar Dar, mentre in giugno ci fu un tentativo di colpo di stato che mise in difficoltà Abiy Ahmed Ali, il primo ministro etiope cui l’Accademia di Stoccolma ha assegnato il Premio Nobel per la Pace. Ed ero a Gondar dove si nascose e fu scoperto e ucciso il generale golpista
di Jacopo Giliberto
3' di lettura
Ero a Bahar Dar, mentre in giugno ci fu un tentativo di colpo di stato che mise in difficoltà Abiy Ahmed Ali, il primo ministro etiope cui l’Accademia di Stoccolma ha assegnato il Premio Nobel per la Pace.
Ed ero a Gondar dove si nascose e fu scoperto e ucciso il generale golpista. E a Lalibela dove il golpista era nato, e dove ci furono proteste dei suoi sostenitori.
E racconto che cosa succede in caso di tentativo di colpo di stato.
Primo: non si vede niente. Niente truppa né polizia in giro.
Secondo: tutti i telefonini e le reti web sono resi muti.
Terzo: la comunicazione avviene solamente attraverso la televisione.
Amatissimo dai popoli galla e sidama delle grandi pianure oromo del sud, il primo ministro Abiy Ahmed Ali è meno apprezzato dai popoli degli altipiani abissini del nord, come gli amara e soprattutto i tigrini che per decenni (o secoli) hanno avuto le posizioni più alte nella società etiope.
Da anni l’Etiopia ha un ruolo di negoziatore per tutta l’Africa, di Paese non allineato e neutrale, ma ha avuto la storica guerra con i vicini odiosamati eritrei. La guerra ormai non era combaqttuta da un decennio, ma nessuno aveva mai avuto il coraggio di firmare la pace con il Governo di Asmara. Questo coraggio è stato di Abiy Ahmed Ali, premiato « per i suoi sforzi per raggiungere la pace e la cooperazione internazionale, e in particolare per la sua decisiva iniziativa per risolvere i conflitti di confine con la vicina Eritrea». Il premio assegnatogli è «anche un riconoscimento di tutte le parti interessate che lavorano per la pace, la riconciliazione in Etiopia e nelle regioni orientali e nord-orientali dell’Africa», ha aggiunto il comitato, «con la speranza che il premio possa aiutare il premier Abiy Ahmed nel suo lavoro per la pace e riconciliazione».
Ma che cosa succede oggi quando in Etiopia c’è un tentativo di colpo di Stato? Mi è capitato di trovarmici in mezzo per diversi giorni, inseguìto dagli avvenimenti.
Giorno uno
Giorno uno, a cena in un ristorante. Alla parete la tv trasmette il telegiornale, viene ripetuto il servizio della sottosegretaria italiana agli esteri Emanuela Del Re in visita ufficiale nel Paese.
Prima che in tavola venga servito lo zighinì – breaking news – la programmazione tv viene interrotta, silenzio: il presidente Abiy Ahmed Ali si rivolge al popolo tutto.
I camerieri smettono di portare le vivande ai tavoli, si fermano ai margini della sala, tutti gli occhi fissi allo schermo.
La tv dice in diretta che in due differenti fatti di sangue ad Addis Abeba e nel capoluogo della regione dell’Amara, Bahar Dar, sono stati uccisi alcuni politici di rilievo, molto seguiti dagli etiopi.
Il colpo di stato è fallito e il presidente invita alla calma.
Dopo questo annuncio, la programmazione televisiva scompare.
Da quel momento e per i giorni successivi tutte le tv etiopi, comprese le reti locali, mandano a rullo solamente le fotografie delle personalità uccise durante il tentativo di colpo di Stato, affiancate dall’immagine di alcune candele accese e con il commento musicale di una canzone di lutto.
Zero informazioni. Zero.
Solamente i ritratti e le candele, di continuo, notte e giorno.
Giorno due
Alla mattina internet ha interrotto ogni collegamento e non funziona, da nessuna parte, in nessum modo. Si può comunicare solamente con gli sms.
Snobbo con disinteresse i suggerimenti di chiamare la Farnesina o l’ambasciata italiana ad Addis Abeba.
Zero poliziotti e zero militari nelle strade.
In tv candele e ritratti delle vittime.
Giorno tre
Dalla mattina non funzionano nemmeno i telefonini. Non esiste più la rete. Nemmeno gli sms. Informazioni solamente di bocca in bocca: se hanno chiuso i telefoni, significa che siamo vicini alla soluzione.
Snobbo con disinteresse i suggerimenti di chiamare la Farnesina o l’ambasciata italiana ad Addis Abeba.
Zero poliziotti e zero militari nelle strade.
In tv candele e ritratti delle vittime.
Giorno quattro
Si riaprono le comunicazioni telefoniche, ma non internet; il giorno precedente l’uomo che aveva tentato il colpo di stato è stato ucciso nelle vicinanze di Gondar.
Scontri con i suoi sostenitori nella città di Lalibela, luogo di origine del tentato golpista.
Gente corre di notte sulla via principale, vociare.
Mi dicono che volano pietre e che è meglio girarsi sui tacchi e allontanarsi.
Snobbo con disinteresse i suggerimenti di chiamare la Farnesina o l’ambasciata italiana ad Addis Abeba.
Zero poliziotti e zero militari nelle strade.
In tv candele e ritratti delle vittime.
Giorno cinque
Internet ancora chiuso.
L’aeroporto di Addis Abeba viene “occupato” dai militari, dai picchetti d’onore e dalla banda musicale per la cerimonia di trasporto della salma di uno degli uccisi verso la sua Maccallè.
In tv un dibattito con le autorità più autorevoli viene alternato con le immagini di fotografie e candele.
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