«Noi, schiavi di un algoritmo per guadagnare 800 euro al mese»
di Alberto Magnani
4' di lettura
Di recente, le cronache hanno riscoperto la gig economy: l'economia dei lavoretti, in inglese gig, lanciata da piattaforme online di consegna cibo (come Foodora e Deliveroo), trasporti (Uber) o entrambe (ancora Uber). Il silenzio era calato dopo le proteste estive, ma ora le novità sono tornate ad accavallarsi. La scorsa settimana il Tribunale del Lavoro di Torino ha respinto il ricorso presentato da sei fattorini di Foodora, un'azienda tedesca, contro l'interruzione del proprio rapporto di lavoro dopo una mobilitazione di protesta nel 2016. La Danimarca ha approvato una forma embrionale di contratto nazionale di categoria, frutto di un'intesa siglata fra la piattaforma di pulizie Hilfr.dk e il sindcato 3F. Domenica si è tenuta a Bologna la prima «assemblea nazionale dei ciclofattorini», un incontro dei riders di varie aziende per ipotizzare un manifesto dei propri diritti. Dietro agli annunci istituzionali rimangono le storie quotidiane di giovani e meno giovani che ricorrono al lavoro via app come integrazione di reddito o unica fonte di entrate. Due di loro ci hanno raccontato la propria giornata-tipo, fra ore di attesa, pressioni psicologiche e il timore che qualcuno ti espella dal sistema. Anzi, qualcosa: un algoritmo.
Samuele, più 40 anni e 800 euro al mese
Svegliarsi. Controllare lo smartphone. Mettersi in sella e sperare che la giornata abbondi di ordini, pedalando da un lato all'altro di Milano per accaparrarsi un'entrata di 800 euro netti al mese. La vita lavorativa di Samuele («Niente nome vero, ok?»), fattorino per le app di consegna cibo Glovo e Deliveroo, è scandita da due incognite che decidono quanto ricaverà dalla sue otto ore di attività giornaliere. La prima è il calendario, ovvero le fasce orarie vuote che possono essere prenotate per mettersi a servizio della app. La seconda è quella che lui chiama «il punteggio»: una valutazione sulla sua affidabilità che deriva dall'incrocio di più fattori, come la velocità di consegna, il lavoro nel fine settimana e il rating dei clienti, visibile ai proprietari delle piattaforme ma non agli stessi fattorini. Più si alza il punteggio e più ore si possono bloccare sul calendario, pubblicato una volta a settimana da Deliveroo e due da Glovo. Samuele fa una media di 20 consegne quotidiane, a volte sette giorni su sette perché «se non lavori la domenica ti abbassano il punteggio».
Il suo profilo combacia poco con lo stereotipo del rider giovane «che arrotonda» nel tempo libero, tra un esame universitario e l'altro. «Io ho più di 40 anni e faccio solo questo, perché non ho alternative – racconta al Sole 24 Ore – Ma la verità è che puoi trovare di tutto: studenti universitari, pensionati, lavoratori dipendenti che cercano attività parallele perché non arrivano a fine mese». La sua dedizione è ripagata con (molto) meno di 1000 euro mensili, cifra che si fa persino invidiare rispetto ai 100-200 euro raggiunti a malapena da diversi colleghi. È vero che dalla sua c'è la disponibilità full-time, ma non un inquadramento contrattuale che fornisca qualche appiglio in più su una materia semisconosciuta alla categoria: i diritti. « Abbiamo dei contratti di collaborazione occasionale autonoma. In poche parole, nessun tipo di diritto – racconta – In più tutte le spese sono a nostro carico, sia che sia parli di motorino che di biciclette. E senza straordinari quando lavori la notte».
Marianna, studentessa: quelle (quattro) ore in attesa della chiamata
L'assenza di straordinari (e mezzi forniti dall'azienda) è un handicap familiare anche a Marianna, altro nome di fantasia di una 25enne romana con laurea magistrale e master alle spalle. Marianna ha iniziato durante gli studi a lavorare per Deliveroo, consegnando pizze e sushi per la capitale. Lezioni e appelli l'hanno costretta a fissarsi un tetto di 15 ore a settimana, investite in maniera più o meno redditizia. «Quando ti prenoti per delle fasce oraria, devi essere reperibile – spiega – Ma questo non vuol dire che sarai chiamata: io ho passato anche quattro ore, di pomeriggio, in attesa di una notifica». Oltre all'investimento di tempo ed energia, Marianna aggiunge i costi di benzina per il suo scooter. Deliveroo prevede un rimborso di 18 centesimi al chilometro, ma la distanza macinata si calcola «in linea d'aria». Un parametro che si sposa male con le esigenze di un fattorino in viaggio per Roma, costretto a zig zag e scorciatoie per ridurre i tempi fra traffico, imprevisti e ansia. «Il risultato è che mi vengono coperti, sì e no, il 40-50% dei costi di carburante – dice – Senza contare l'usura del motorino, le spese di manutenzione e tutto il resto. Ora ho ridimensionato ancora la mia disponibilità perché, quando mi sposto troppo, rischio di andare in perdita».
In tutti i casi il proprio datore di lavoro resta nascosto dietro a uno schermo, come un padrone immateriale cortese con i clienti e inflessibile con i suoi riders. «Hanno un ottimo servizio di customer care, l'assistenza ai clienti – fa notare Marianna – Ma è capace che non rispondano se mandi un'email». Entrambi confermano che il pressing psicologico esiste, anche solo sotto forma del «senso di colpa» scaricato sulle spalle dei rider quando si defilano in extremis per un incarico. Non è il massimo dare forfait all'ultimo, ma in fondo non si parla di rapporti di collaborazione allo stato puro? A parlare è di nuovo Samuele: «Dovrebbe, ma di fatto quando ti sfili da una consegna ti abbassano il punteggio. E c'è caso che alla fine ti slogghino, cioè non ti facciano più lavorare con loro». Il termine è proprio quello, «sloggare», come se il rapporto di lavoro dipendesse da quante volte si entra o esce da una app. In fondo, per sostituirti, basta una notifica.
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