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Non basta l’arte per promuovere la moda (e viceversa)

La campagna di Ferragamo scattata fra le opere degli Uffizi è un altro esempio di contatti fra patrimonio artistico e industria della moda.Oltre l’occasione commerciale, il fine ultimo dovrebbe essere il reciproco arricchimento

La campagna di Ferragamo scattata fra le opere degli Uffizi di Firenze

3' di lettura

Sarà un autunno impegnativo per la Venere di Botticelli, dopo due stagioni trascorse fuori e dentro le cornici, su e giù dal palco reale (aggettivo dal duplice significato, in questo caso) degli Uffizi e da quello virtuale di internet. Protagonista della campagna «Open to meraviglia», presentata in primavera dal ministero del Turismo per promuovere le eccellenze del nostro Paese, la Venere più famosa del Rinascimento è stata al centro – suo malgrado, potremmo dire – di polemiche o almeno perplessità (si veda anche il commento di Pierluigi Sacco su Sole 24 Ore del 26 aprile). Da qualche giorno si era aggiunta l’accusa di latitanza, nel suo ruolo di influencer del turismo, ma ora – ha spiegato lei stessa (!) sugli account social del ministero – è pronta a nuove avventure con chi vorrà seguirla alla scoperta delle meraviglie del nostro Paese. Scopo dichiarato della campagna non era di ricordare “solo” il capolavoro di Botticelli o “solo” la sua casa, gli Uffizi di Firenze, o “solo” l’immenso patrimonio artistico italiano e i nostri musei più famosi. L’obiettivo era fare di Venere una sorta di fascinosa e camaleontica guida alle mete turistiche, da nord a sud. Magari Venere ci stupirà, non c’è motivo di augurarsi che Open to meraviglia non rinasca come un’Araba fenice.

Gli Uffizi e Swatch: a Firenze i nuovi orologi con Botticelli

Nel frattempo ad altri famosi “inquilini” degli Uffizi ha pensato di legarsi Ferragamo, con la campagna «New Renaissance», dove la collezione autunno-inverno 2023-24 è fotografata circondata, immersa, “contaminata” da opere molto famose, come L’annunciazione (1570-75) di Paolo Veronese, il Ritratto di Alessandro de Medici (1534) di Giorgio Vasari e due opere di Sandro Botticelli (Venere sarà gelosa?), l’Annunciazione di San Martino alla Scala (1481) e il Ritratto d’uomo con medaglia di Cosimo il Vecchio. «Il Rinascimento è radicato a Firenze e Firenze è radicata in Ferragamo – ha spiegato Maximilian Davis, direttore creativo della maison –. In questa nuova era è stato naturale riconoscere la città simbolo del Rinascimento come la nostra casa spirituale, attingendo al suo genio e al suo talento artistico per raccontare l’estetica della nuova collezione». Non è un’operazione di promozione degli Uffizi o dell’Italia, quindi (anche se dall’azienda fanno sapere che la collaborazione con il museo prenderà altre forme), ma del Rinascimento di Ferragamo.

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La nuova era della quale parla Davis stenta a iniziare: nel primo semestre i ricavi sono scesi del 4,8% a 600 milioni e l’utile netto è calato del 65,4% a 21,4 milioni, a fronte di un settore – l’alta gamma – che cresce a due cifre dal 2022. C’è da augurarsi che l’ambientazione rinascimentale porti fortuna (nella moda ce ne vuole tanta) a Ferragamo, ma forse vale la pena chiedersi se i legami tra moda e arte non vadano cercati o sviluppati in altre direzioni. Stilisti e imprenditori del settore amano e collezionano opere di ogni tipo e negli ultimi decenni sono nate case museo e soprattutto fondazioni, con un’attenzione particolare all’arte contemporanea.

Basti pensare ai progetti di François Pinault e Bernard Arnault, fondatori dei due più grandi gruppi del lusso al mondo, Kering e Lvmh, che hanno “regalato”, rispettivamente, a Venezia e Parigi musei eccezionali. In Italia l’iniziativa più conosciuta è la Fondazione Prada – a Milano e Venezia – ma ci sono anche quelle della famiglia Maramotti a Reggio Emilia, di Furla a Bologna e collaborazioni recenti eppur solide come Herno con Miart e innumerevoli altre. Poi c’è il mecenatismo più classico (il restauro del Colosseo da parte di Tod’s, quello del Ponte di Rialto voluto da Renzo Rosso, solo per fare due esempi).

Operazioni alle quali viene dato giustamente risalto, bando all’understatement, perché molti clienti dei marchi della moda e del lusso sono colpiti e persino motivati all’acquisto sapendo di contribuire - indirettamente - al sostegno dell’arte. Per non parlare di quanto l’arte sia stata ispirazione per gli stilisti (un esempio su tutti: Yves Saint Laurent, che nel 1965 riuscì a “trasformare” in abiti da cocktail alcune opere di Piet Mondrian) e come, anche di recente, siano nate collaborazioni tra marchi molto noti, da Uniqlo a Swatch, e grandi musei, per usare (fedelmente) le immagini di quadri celeberrimi su t-shirt e orologi. Tra i due estremi, mutuo soccorso o sudditanza, commerciale o culturale, la soluzione migliore sarebbe il reciproco arricchimento, la più autentica delle osmosi e quasi certamente ne trarrebbero vantaggi tutti: gli artisti, gli stilisti, il pubblico di musei, mostre e fiere e, perché no, i conti delle aziende.

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