Non ci può essere politica senza radici culturali
di Natalino Irti
3' di lettura
Triste e buia è ora la via Nazionale, proprio là dove si affacciano le sale dell’Eliseo e del suo “Ridotto” (elegante parola, che sa di piccolo e lezioso). Quasi che l’antistante Palazzo Koch tutto avvolga nel suo cinereo silenzio. E la memoria, ridestata, come suole, per contrasto d’immagini e di figure, risale alla metà degli anni Cinquanta, ai convegni del Mondo, che in quelle sale accoglievano una singolare e nobile élite, e vecchi maestri, e giovani impazienti di scorgere un nuovo volto dell’Italia. Attesa non delusa, poiché tutti i discorsi – di Jemolo e Calogero, Ernesto Rossi e Achille Battaglia, Mario Ferrara e Tullio Ascarelli (ed altri che premono nel grato ricordo) - gettavano lo sguardo nel futuro, proponevano leggi, disegnavano forme della nostra convivenza.
Fu stagione di profonda cultura e di passione civile, quando la teoria crociana della libertà – la libertà dello Spirito, che si fa “religione”, e sempre costruisce più alta e degna storia dell’uomo - , quella teoria ci sembrava astratta e lontana, e bisognevole di tradursi nei concreti e determinati istituti di libertà, e farsi patrimonio e fede di tutte le classi sociali. Così si intrecciavano e ordinavano le fila di “socialismo liberale”, “liberalsocialismo”, “Giustizia e libertà”: in breve, una “libertà liberatrice” (come la definiva Adolfo Omodeo), capace di instaurare ordinamenti politici, superare disuguaglianze economiche, ricondurre tutti alla parità dei “punti di partenza”.
Il Mondo, le larghe pagine del settimanale di Mario Pannunzio, divenne come un segno di appartenenza, un modo di riconoscersi nelle più varie occasioni, una prova d’un comune sentire e pensare (e forse è lecito allo Spettatore evocare dentro di sé l’emozione allora provata nel vedere sue verdi e acerbe prosucce in quei nitidi caratteri di stampa). Il congiungersi di cultura e politica, ed anzi il generarsi di questa da quella, la capacità argomentativa e costruttiva di convertire le idee in programmi di azione (e “d’azione” fu l’effimero partito che le raccolse e fece proprie), la intrinseca intellettualità dell’agire politico, furono i caratteri di quella stagione.
La quale era tratta, da un lato, al rifiuto nei confronti del fascismo e delle discordi ideologie che vi erano confluite, e, dall’altro, al confronto critico con il marxismo europeo e con la dottrina sociale della Chiesa Cattolica. Si andava così elaborando e definendo una “terza via”, una soluzione intermedia, sostenuta dalla borghesia più vigile e moderna: che non era né la borghesia pre-fascistica della vecchia Destra Storica, né la borghesia tecno-economica dell’epoca industriale. Un arduo “centro” – oggi si direbbe -, che tuttavia aveva per principî di fede lo Stato di diritto, la divisione dei poteri, la giustizia amministrativa, la scuola pubblica e la congiunta circolazione delle minoranze direttive.
Questo appariva, non il centro di un’improbabile geometria, o di una rara sapienza mediatrice, ma un’autentica classe generale, pronta a sciogliersi da particolari interessi e capace di suggerire i fini ultimi della comunità nazionale. Se guardiamo l’oggi, non ne affiorano urti di pensiero politico, o di integrali programmi di vita, ma proposte occasionali e fortuite di una od altra legge: un quotidiano empirismo, che spesso si nasconde, o prova a nascondersi, dietro mitologie europee o utopie umanitarie o messaggi di salvezza. Segni, tutti, di una crisi della “ragione politica”, la quale può nascere e svolgersi soltanto da un indirizzo culturale, e non dalla consolatoria vaghezza di astratti principî o di ignoti “valori”. La memoria del Mondo pannunziano, dei convegni dell’Eliseo non è un rifugio dell’animo, ma vuol significare che un’atmosfera culturale genera, di per sé, la concretezza di proposte e la scelta di fini comuni. Senza cultura l’empirismo è un cieco andare per le vie del mondo, un maldestro appoggiarsi ora a questa ora a quella stampella. La serietà della politica, il fervore d’un pensiero creativo, non sta nel concorde applaudire o nell’effimera necessità di un’ora, ma nel ricostruire il terreno delle idee, capaci, nella loro diversità, di identificare le forze storiche, di ascoltare i conflitti sociali, e di disegnare i contorni del futuro.
loading...