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Non decolla in Sicilia la Dop economy: consorzi ancora fragili

L’isola è ai primi posti in Italia per numero di prodotti tutelati
ma non cresce. La proposta Cia: «Aggregarsi e realizzare paniere del buono»

di Nino Amadore

Prodotti. La Sicilia è ricca di eccellenze agroalimentari da valorizzare sui mercati

3' di lettura

Cresce ma non troppo. Anzi di più: la Dop economy in Sicilia mostra tutte le sue fragilità. I numeri, almeno per quel che riguarda la parte del cibo, sono tiranni: secondo l’ultimo rapporto Qualivita-Ismea nel 2021 l’isola ha avuto nel comparto cibo un giro d’affari di 87 milioni, mentre il vino ha registrato 449 milioni. In totale il giro d’affari è stato di 536 milioni con un incremento del 3,6% rispetto all’anno precedente. E questo, potremmo dire, è il bicchiere mezzo pieno. Perché poi l’altra faccia della medaglia rivela una situazione tutt’altro che rosea, almeno per il momento.

La Sicilia è al sesto posto in Italia per numero di Dop (20), Igp (16) e Stg (4). In totale 40. Ma è, seppur in crescita di oltre il 14% sull’anno precedente, al decimo posto per “impatto regionale”. Per rimanere al comparto cibo il Veneto, che ha lo stesso numero di Dop e Igp della Sicilia, nel 2021 ha avuto un impatto regionale di 433 milioni. La Sardegna, che ha 8 Dop e Igp, nel 2021 ha avuto un giro d’affari di 348 milioni. E ci fermiamo qui, del vino parleremo più avanti. Alla luce dei dati di mercato significa che c’è spazio per crescere in questo segmento specifico che è quello dei prodotti di qualità. Ma in Sicilia ciò avviene solo marginalmente. « Il brand Sicilia è molto forte, c’è voglia di Sicilia ma siamo che dobbiamo cambiare mentalità e atteggiamento – dice Gerardo Diana, per anni presidente di Confagricoltura e oggi presidente del consorzio Arancia rossa di Sicilia (500 associati e seimila ettari di agrumento ) – . Bisogna credere nel territorio, nel disciplinare che è la nostra guida, ma bisogna anche saper comunicare e commercializzare. E soprattutto bisogna mettersi insieme perché da soli non si va da nessuna parte». Mettersi insieme con metodo e volontà superando una situazione in cui spesso i produttori si aggregano più per obblighi burocratici che per vera volontà di costituire soggetti in grado di essere protagonisti sui mercati.

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Un modello in Sicilia esiste ed è quello del vino e non è un caso che il settore fatturi complessivamente, sempre secondo i dati Qualivita-Ismea, 449 milioni piazzando la Sicilia all’ottavo posto in Italia per impatto: «Il vino – dice Ivo Basile, vicepresidente del Consorzio della Malvasia delle Lipari – ha saputo fare sistema tra grandi e piccoli produttori. Ma soprattutto ha capito il valore del territorio. il boom del vino dell’Etna ci ha insegnato quanto valga il territorio e una grande visibilità».

L’arrivo della riforma Ue, che ha rafforzato la tutela dei prodotti di quella che è stata definita l’economia del buono, viene vista come una grande opportunità. È il momento giusto per avviare una riflessione che affronti il nodo dell’efficienza dei Consorzi di tutela. Lo ha fatto la Cia della Sicilia Occidentale che al tema ha dedicato un’ampia riflessione nell’ambito dell’ultima edizione del Cous Cous Fest a San Vito Lo Capo: «La riforma oggi interviene in maniera importante sulla territorialità e sugli elementi di tipicità che stanno alla base del prodotto a denominazione. Ma occorre che queste produzioni in Sicilia raggiungano quella maturità organizzativa ed economica essenziale per affrontare i mercati anche quelli locali e anche la grande distribuzione non riesce ad organizzare l’offerta in grado di salvaguardare l’identità e il prezzo del prodotto tutelato e garantito» spiega Camillo Pugliesi, giovane imprenditore vitivinicolo che guida la Cia della Sicilia Occidentale (Palermo e Trapani). L’idea è quella di avviare un percorso che ha alcuni punti fermi: «un processo di aggregazione delle Dop per realizzare un paniere della Sicilia del buono,migliorare la capacità di sinergia tra diversi comparti e fare rete, investire sul territorio per valorizzarne le filiere – aggiunge Pugliesi – . La Sicilia deve riorganizzare il sistema delle governance». La governance certo è un tema chiave: quasi nessun consorzio, per esempio, ha direttori professionalizzati come esistono altrove. 

La sfida è interessante. E lo sa bene Mauro Rosati, direttore generale di Qualivita: «Non si dica che è un problema di dimensioni perché se vediamo la cartina della Dop economy ci accorgiamo che la piccola dimensione è un’opportunità. È piuttosto un problema di serietà aziendale: spesso i produttori stanno dentro il consorzio ma non sono abituati a rispettare i vincoli.  La Sicilia, che è la piattaforma italiana dell’enogastronomia, paga lo scotto della mancanza di strutture consortili capaci di gestire una denominazione. Servono soldi e risorse per il marketing, l’assistenza legale all’export e così via. Intanto c’è l’abitudine a pensare il consorzio come lo sbocco della politica. E intanto c’è molta confusione sui prodotti siciliani». E riemerge una questione che può essere la chiave: l’alleanza con la Gdo che può aiutare i consorzi (veri) a trovare una loro strada.

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