Non solo bombe: così la Russia spinge cyberattacchi, propaganda e fake news
Attacchi informatici e propaganda sono due leve che Vladimir Putin ha usato con forza, negli ultimi tempi. Mosse che hanno indebolito l’Ucraina, e forse l’Occidente
di Biagio Simonetta
I punti chiave
3' di lettura
L’invasione russa in Ucraina non è solo un fatto di bombe, carri armati e sirene che suonano nella notte.
L’operazione del Cremlino è ben più complessa, e in questi mesi si è mossa con astuzia su Internet. Attacchi informatici e propaganda sono due leve che Vladimir Putin ha usato con forza, negli ultimi tempi. Mosse che hanno indebolito l'Ucraina, e forse l'Occidente, se non altro da un punto di vista reputazionale.
Guerra informatica
Perché anche senza sganciare una bomba o muovere plotoni, le nazioni possono danneggiarsi in modo tremendo attraverso la guerra informatica. Che non è per forza sinonimo di hackerare una centrale elettrica. Perché coni social media, oggi la disinformazione può erodere la fiducia nelle istituzioni e creare un’atmosfera di disprezzo, sfiducia e persino violenza tra i cittadini.
Oggi la disinformazione di matrice russa è un problema enorme. E sta mettendo in difficoltà l’industria tecnologica globale. Perché il modo in cui le aziende tecnologiche provano a rispondere alle fake news confezionate da aziende finanziate dal Cremlino potrebbe incidere pesantemente sui futuri conflitti geopolitici.
Propaganda russa
Come ha testimoniato il premier ucraino, Volodymyr Zelensky, la propaganda russa è una delle chiavi più pericolose di questa guerra: «Siamo sotto attacco non solo dalle bombe, ma anche dai falsi. È importante ottenere notizie vere da fonti ufficiali. Oggi la Russia ha invaso l’Ucraina. Putin ha iniziato la guerra contro l’Ucraina e contro il mondo democratico».
Pochi argini alla disinformazione
Il punto vero, però, è che al momento le big tech non si stanno muovendo abbastanza velocemente. Le più importanti società di social media al mondo hanno affermato di monitorare da vicino la situazione in Ucraina, ma al momento aziende come Meta, Twitter e YouTube non hanno ancora introdotto pubblicamente nuove regole per cercare di arginare la disinformazione.
Alcuni strumenti introdotti in passato (come sui vaccini, ndr), con l’etichettatura delle notizie o l’avviso “pensa prima di condividere”, non sono stati applicati ai post sul conflitto russo-ucraino. Ed è un fatto che va a tutto vantaggio del Cremlino, da sempre molto abile a indirizzare la disinformazione.
La Russia non è estranea alla manipolazione dei social media e ha affinato le sue capacità prima delle elezioni statunitensi del 2016. A San Pietroburgo c’è la notissima Internet research agency (Ira), un’azienda impegnata in operazioni di propaganda online per conto di compagnie nazionali e dello stesso Putin.
Il ruolo della «fabbrica dei troll»
Ha iniziato a operare durante l’occupazione russa della Crimea. Ma ha avuto un ruolo importante anche nelle elezioni americane del 2016. La Ira è stata ribattezzata la fabbrica dei troll, perché capace di creare e gestire migliaia di account falsi sui social network, sui forum di discussione e fra i commenti dei giornali online, per promuovere la propaganda russa.
I conflitti del passato in luoghi come il Myanmar, l’India e le Filippine mostrano che i giganti della tecnologia sono spesso impreparati dinanzi alle campagne di disinformazione sponsorizzate da uno Stato. Spesso è un problema di barriere linguistiche.
Ma intanto la fabbrica di fake news agli ordini di Vladimir Putin lavora senza sosta. E utilizza tecniche sempre più sofisticate, come i deepfake che riescono a manipolare un video fino a farlo sembrare reale.
Il video manipolato
È il caso di un video che venerdì 18 febbraio è comparso sui canali Telegram dei separatisti del Donbass, poi ampiamente condiviso online. Il video mostrava un gruppo di sabotatori di lingua polacca che provavano a far saltare un serbatoio di cloro nei pressi della città di Horlivka, nel territorio controllato dai separatisti dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk. La disinformazione dei filorussi raccontava che i sabotatori erano stati uccisi e il video era stato recuperato dai loro cadaveri.
Da un’analisi dei metadati, si è scoperto che il video non era autentico, e addirittura era stato creato giorni prima della condivisione su Telegram. Confezionato per creare una sorta di “casus belli” per giustificare una guerra. La fabbrica del fake lavora anche così.
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