Non solo debito pubblico. Stabilità sistemica tra risparmio e salari
Si stima che le famiglie italiane risparmiano mediamente solo il 10% del loro reddito annuo. Oltre a essere il livello di risparmio più basso della nostra storia, oggi ci collochiamo ben al di sotto della media dell’Eurozona (14%)
di Marcello Minenna
I punti chiave
7' di lettura
Il debito pubblico italiano è sicuramente elevato, sia per il livello monetario che aumenta di lettura in lettura, sia per l'entità rapportata al PIL.
Debito pubblico
Se si raffronta l'andamento nel tempo del rapporto Debito Pubblico/PIL (cfr. Figura 1), si può osservare come, a partire dal 2008, e fino a febbraio 2022, il rapporto Debito Pubblico/PIL dei principali paesi dell'area Euro, ad eccezione della Germania, si è incrementato.
La Fig. 1 riporta l'andamento del rapporto tra Debito Pubblico e PIL per i 5 paesi esaminati (Germania, Francia, Italia, Spagna e Grecia); i dati sono calcolati in base al valore nominale dei Titoli di Stato e sono su base trimestrale.
Tale decremento, confermato a livello mondiale da uno studio dell’IIF, sembra essere ascrivibile a diversi fattori. Sicuramente è stato positivamente influenzato dall’incremento del PIL determinato dalla ripresa delle attività economiche e degli scambi internazionali conseguenti alla cessazione della crisi pandemica nonché alla riduzione al ricorso all’indebitamento cui gli stati avevano acceduto per finanziare le misure straordinarie necessarie al contenimento di tale crisi.
Premesso che ai nostri fini sarà utile analizzare anche l’indebitamento del settore privato e che esso è misurabile dai dati diffusi dalla BIS, faremo ricorso alla medesima fonte anche per i dati sul debito pubblico. Tale fonte contabilizza i dati del debito al loro valore di mercato (o “market value”).
La Fig. 2 riporta l'andamento del rapporto tra Debito Pubblico e PIL per i 5 paesi esaminati (Germania, Francia, Italia, Spagna e Grecia); i dati sono calcolati in base al valore di mercato dei Titoli di Stato e sono su base trimestrale.
Dal confronto dell’andamento del rapporto calcolato sulla base del valore nominale del Debito con quello calcolato sulla base del suo valore di mercato (cfr. Figura 2), che come noto risente, negativamente, del rialzo dei tassi, si osserva che la più accentuata diminuzione del rapporto Debito/PIL della Figura 2, è spiegata, almeno in parte, proprio dalla recente risalita dei tassi e dal conseguente impatto sul valore di mercato dei Titoli di Stato determinato dal loro rialzo.
Anche con questa valutazione il dato italiano, con la sola eccezione di quello greco, resta il più alto: secondo i dati BIS, a settembre 2022, rispettivamente, calcolando sempre il Market Value, 142,2 per l’Italia, 111,9 per la Spagna, 109,6 per la Francia, 64,0 per la Germania e ben 181,3 per la Grecia.
Debito privato
La situazione cambia drasticamente se si considera il Debito del Settore privato non finanziario (famiglie e imprese). In questi casi (cfr. Figure 3 e 4), infatti, l’Italia presenta, soprattutto per quanto riguarda le famiglie, valori sensibilmente più bassi di quelli degli altri paesi.
La Fig. 3 riporta l'andamento del rapporto tra Debito delle famiglie e PIL per i 5 paesi esaminati (Germania, Francia, Italia, Spagna e Grecia); i dati sono calcolati in base al valore di mercato e sono su base trimestrali.
La Fig. 4 riporta l'andamento del rapporto tra Debito del settore privato non finanziario e PIL per i 5 paesi esaminati (Germania, Francia, Italia, Spagna e Grecia); i dati sono calcolati in base al valore di mercato e sono su base trimestrale.
Debito aggregato. Quale relazione con i rendimenti dei titoli di stato?
Conseguentemente, aggregando il Debito Pubblico a quello del Settore privato non finanziario e rapportando tale entità al PIL (cfr. Figura 5), la situazione del nostro Paese risulta migliore di quella di tutti gli altri paesi, ad eccezione della Germania. In questo caso, infatti, i valori del rapporto sono 340,1 per la Francia, 292,2 per la Grecia, 263,6 per la Spagna, 254,4 per l’Italia e 193,2 per la Germania.
Dati non irrilevanti visto che anche un elevato livello di indebitamento privato contribuisce all’instabilità del sistema come mostra il caso islandese dove poco prima della crisi finanziaria del 2008, il rapporto Debito privato/PIL aveva raggiunto il 450%. Ma le analogie non finiscono qui: la crisi deflagrò quando i tassi aumentarono.
La Fig. 5 riporta l'andamento del rapporto tra Debito Aggregato e PIL per i 5 paesi esaminati (Germania, Francia, Italia, Spagna e Grecia). Il Debito Aggregato è dato dalla somma del Debito Pubblico e delle due componenti (famiglie e settore privato non finanziario) del Debito privato. I dati sono calcolati in base al valore di mercato e sono su base trimestrale.
Il buon livello del Debito Aggregato italiano, sebbene sia un fattore rassicurante circa la salute del sistema, non sembra riflettersi sull’andamento dei tassi d’interesse, che vedono penalizzato il nostro Paese. Se si analizzano i titoli del Debito Pubblico a 10 anni, il dato medio dei tassi delle ultime emissioni (cfr. Figura 6) si attesta a 4,42 per la Grecia, 4,45 per l’Italia, 3,63 per la Spagna, 3,12 per la Francia e a 2,63 per la Germania.
La Fig. 6 illustra l'andamento del rendimento medio dei Titoli di Stato a 10 anni emessi da Germania, Francia, Italia, Spagna e Grecia. I dati sono mensili.
Appare evidente come la vigilanza regolamentare comunitaria condizioni le aspettative degli operatori più di quanto possano fare le grandezze economiche. Da questo punto di vista, l’Italia risulta essere discriminata da una vigilanza regolamentare che pone l’accento sul rapporto Debito Pubblico/PIL (che, si ricorda dovrebbe essere inferiore al 60%) ma che sembra non dare il giusto peso, se non ignorare, altri parametri. Ad esempio, quello del rapporto Debito del Settore privato non finanziario/PIL che, si ricorda, secondo l’Alert Mechanism Report di Eurostat, legato alla procedura di sorveglianza degli squilibri macroeconomici, dovrebbe essere inferiore al 133%. O, ancora, la misura del surplus commerciale che non dovrebbe essere stabilmente superiore al 6% del PIL (parametro che però la Germania non ha rispettato dal 2012 e sino allo scoppio della pandemia come mostra la Figura 7).
La Fig. 7 riporta l’andamento del saldo della bilancia commerciale dei 5 paesi esaminati (Germania, Francia, Italia, Spagna e Grecia); i dati sono calcolati in rapporto ai rispettivi PIL e sono su base trimestrali
È possibile una diversa governance dei criteri di convergenza?
È di tutta evidenza che regole di governance fondate su parametri che misurano il debito pubblico sono più semplici da gestire, dato che l’interlocutore è puntualmente identificabile nei Governi degli Stati membri mentre, nel caso del monitoraggio del Debito Privato, il rapporto con i detentori è solo potenzialmente intermediabile da interventi di policy dei Governi nazionali in quanto disciplinato da regole di mercato.
Ciò non di meno, tenuto anche conto che nei prossimi mesi sono attesi confronti e decisioni circa una revisione dei criteri di convergenza e che in tale ambito occorrerà tenere in debito conto le variabili esogene che hanno investito l’Unione (Pandemia, Guerre) o che la investiranno (cambiamenti climatici, flussi migratori) e delle loro conseguenze sull’economia reale (spinta inflattiva, riflessi occupazionali e necessità d’investimenti strutturali), vale la pena di pensare di integrare i tradizionali indicatori. Ad esempio, prevedendo che un basso livello di esposizione all’indebitamento dei privati e/o un elevato livello di risparmi privati possano calmierare la regolazione per il controllo del debito pubblico dato che, evidentemente, contribuiscono alla stabilità del sistema.
Da studi precedenti sappiamo che solo in un caso, sui 26 complessivamente rilevati dal 1950, la riduzione del debito pubblico è stata accompagnata da una riduzione del debito del settore privato.
Tale evidenza può essere giustificata dal fatto che i privati, con un maggior ricorso al debito, facevano da stimolo all’economia, aumentando di conseguenza le entrate fiscali e diminuendo l’incidenza sulla spesa degli stabilizzatori automatici. Oppure, alternativamente, potrebbe essere stato il maggior rigore fiscale adottato per ridurre del debito pubblico che ha drenato risorse dal settore privato, e spinto imprese e famiglie verso un maggiore indebitamento.
In ogni caso, dati degli ultimi 70 anni ci mostrano che se il settore privato non intende (o non ne ha la possibilità a causa, ad esempio, di una restrizione del credito da parte del sistema bancario) incrementare il proprio indebitamento, difficilmente lo Stato riuscirà a ridurre in modo sensibile il debito pubblico in rapporto al PIL.
Nel caso italiano, il debito pubblico in rapporto al PIL, da fine 2008, sta sostanzialmente crescendo, almeno sino al termine della pandemia, in un contesto nel quale il debito privato, la cui crescita era rallentata da luglio 2009, a partire da fine 2012, si sta riducendo, salvo un’impennata durante la pandemia, meno che proporzionalmente (cfr. Figura 8).
La Fig. 8 mostra il raffronto, per la sola Italia, fra l’andamento del rapporto Debito Pubblico e PIL e il rapporto Debito privato/PIL. I dati, calcolati in base al valore di mercato, sono su base trimestrale.
La ricchezza complessiva delle famiglie italiane (considerando anche le proprietà immobiliari al netto delle passività finanziarie) è di oltre 10.000 miliardi. Al 2021 la ricchezza netta delle famiglie italiane continua ad essere la più alta in Europa ed è pari a 8.7 volte il reddito disponibile contro l’8,6 della Francia e l’8,8 della Germania.
Ciò non di meno, i tassi di risparmio, a lungo fra i più alti del mondo sviluppato, sono in calo da oltre un ventennio. Questo andamento ha registrato però un’inversione di tendenza con la pandemia (cfr. Figura 9).
La fig. 9 illustra, per la sola Italia, l’andamento del tasso di risparmio lordo delle. I dati sono calcolati su base annuale.
Non sorprende: in un clima di incertezza gli individui sono meno propensi ad investire e a consumare, conseguentemente la propensione al risparmio aumenta. Così è accaduto tra il gennaio 2020 e il settembre 2021, periodo in cui la ricchezza finanziaria delle famiglie è aumentata di 334 miliardi, per lo più allocata sui conti correnti.
Nel 2004 il tasso di risparmio degli italiani, calcolato come percentuale di reddito annuale non destinata al consumo, si attestava intorno al 15% e superava il tasso medio dell’Eurozona. Soltanto la Germania e il Belgio mostravano un tasso di risparmio più alto di quello delle famiglie italiane.
Oggi, il quadro è abbastanza cambiato rispetto ad allora. Si stima che le famiglie italiane risparmiano mediamente solo il 10% del loro reddito annuo. Oltre ad essere il livello di risparmio più basso della nostra storia, oggi ci collochiamo ben al di sotto della media dell’Eurozona (14%). Inoltre, si è ampliato il gap con i tassi di risparmio delle famiglie tedesche, che oggi accantonano circa il 19%.
A ben guardare, quindi, a seguito del Covid, in Italia, sono aumentati sia l’indebitamento privato e che risparmio: un chiaro indicatore dell’incremento delle disuguaglianze sociali. I più poveri e coloro che hanno visto diminuire le loro entrate sono dovuti ricorrere all’indebitamento per mantenere il loro tenore di vita mentre i più ricchi, anche a fronte di un’impossibilità a spendere, hanno incrementato i loro investimenti.
Risparmio, indebitamento, salari e disuguaglianze sociali
Il progressivo impoverimento degli italiani è un dato che trova riscontro in un recente studio dell’ILO, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro: se tedeschi e francesi, a parità di potere d’acquisto, hanno oggi buste paga più alte del 2008, quelle degli italiani sono più basse del 12% (cfr. Figura 10).
La Fig. 10 riporta l’Indice del reddito disponibile lordo delle famiglie dei 5 paesi esaminati (Germania, Francia, Italia, Spagna e Grecia) in termini reali pro-capite. I dati sono su base annuale.
Ridurre il gap tra i redditi reali in Italia e negli altri paesi dell’Eurozona è l’altra sfida fondamentale cui dobbiamo prestare attenzione dato che il rafforzamento dell’Eurozona e dell’Unione Europea passa evidentemente da rinnovate politiche economiche di convergenza.
Marcello Minenna, Economista
@MarcelloMinenna
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