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Non solo profitti: boom di società benefit in pandemia. Via agli incentivi

Il fenomeno è in crescita e va indagato. Anche perché lo Stato, dopo averle introdotte con la manovra per il 2016, le sta agevolando con un credito d’imposta del 50% a copertura delle spese di costituzione o trasformazione

di Cristiano Dell'Oste e Valeria Uva

Pnrr, solo una impresa su tre pronta a opportunità

3' di lettura

Le società che hanno aggiunto la dicitura «benefit» sono quasi quadruplicate negli ultimi due anni. In base ai dati InfoCamere, le imprese che hanno scelto di perseguire - oltre al profitto - un “beneficio comune” a marzo sono arrivate a quota 1.922; nello stesso periodo del 2020, mentre scoppiava la pandemia da Covid, erano poco più di 500.

Secondo i critici, si tratta spesso di operazioni di facciata, iniziative d'immagine che non scalfiscono l'attività aziendale. Ma il fenomeno è in crescita e va indagato. Anche perché lo Stato, dopo averle introdotte con la manovra per il 2016, le sta agevolando: giovedì 19 maggio si è aperto il termine per chiedere al Mise il credito d’imposta del 50% a copertura delle spese di costituzione o trasformazione in società benefit.

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L’AVANZATA
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La diffusione

A scegliere il percorso benefit sono sia aziende già esistenti (dalle quotate alla Pmi) “sensibili” verso i temi dell’impegno collettivo, sia soprattutto le start up. «I giovani sono molto portati verso questo approccio», conferma Monica De Paoli, notaio che ha assistito diverse aziende nella modifica dello Statuto e fa parte del comitato direttivo di Assobenefit. Qualche esperimento si sta affacciando anche tra gli studi professionali, con Freebly, partito nel 2019 con l’obiettivo, tra l’altro, di garantire agli avvocati aderenti più libertà anche negli orari e, da gennaio, Lexant. La formula comincia ad attrarre anche il mondo delle partecipate pubbliche: da Eni gas e luce (che con l'acquisizione della qualifica benefit ha cambiato nome in Plenitude) alle realtà locali, come il gruppo Tea che gestisce i rifiuti nella provincia di Mantova (che si è impegnato ad avere un impatto positivo su ambiente e territorio).

Secondo i dati InfoCamere, oltre il 97% delle imprese benefit sono costituite come società di capitali e più di metà (976 su 1.922) opera nel campo dei servizi. Seguono a distanza la manifattura (254) e il commercio (169). Un altro settore in cui il fenomeno ha preso piede è quello della moda, anche se qui è molto diffusa la formula - simile, ma più strutturata - della “B-corp”. A livello territoriale, la Lombardia raccoglie un terzo delle società benefit iscritte al Registro imprese e da sola ne ha più di Lazio, Veneto ed Emilia Romagna messi insieme.

Le scelte

I “benefici comuni” da perseguire possono essere diversi. Sia interni, come il benessere dei dipendenti o la promozione della parità di genere, sia esterni. E in questo caso si spazia dalla riduzione dei consumi energetici alla valorizzazione del territorio. Di fatto si tratta dei valori legati agli obiettivi Esg (environmental, social, governance). Vanno tutti esplicitati nello Statuto. «Ma non basta fermarsi all’annuncio - ricorda Milena Prisco, avvocato dello studio Pavia e Ansaldo -: occorre investire e misurare nel tempo i risultati raggiunti. Anche perché i tuoi clienti potrebbero chiederne conto, accade già, ad esempio nella finanza per chi dichiara investimenti sostenibili».

Proprio per questo è obbligatorio nominare un responsabile di impatto che vigilerà sull'attuazione e preparerà ogni anno una relazione di impatto da allegare al bilancio, che misura in concreto l'attività.

I controlli e le incognite

Una volta inserito tra gli obblighi statutari, il beneficio comune va perseguito dagli amministratori, al pari dell'utile. La guida alla sostenibilità redatta dallo studio legale Lca individua sia possibili responsabilità verso la società se non si è «bilanciato l’interesse dei soci con quello degli altri stakeholders indicati nello statuto», sia verso i soci se non si è «perseguito il beneficio comune». All’esterno le società benefit sono soggette al Codice del consumo e quindi alla vigilanza dell’Antitrust. «Si è esposti al rischio di segnalazioni da associazioni e concorrenti con accuse di greenwashing - osserva ancora Prisco - di fatto se si comunica qualcosa che non è stato realmente attuato».

Tra le incognite c’è quella fiscale. Far le cose seriamente ha un costo, e nessuna norma oggi prende posizione sul trattamento fiscale delle spese sostenute in nome del “beneficio comune”. «Come Assobenefit stiamo lavorando per ottenere una deducibilità piena di tutte le voci» aggiunge De Paoli.

Dal Fisco arriva anche un aiuto, almeno iniziale, con il tax credit che copre le spese notarili, di consulenza e di iscrizione nel Registro imprese, sostenute tra il 19 luglio 2020 e fine 2021. Le domande vanno inviate entro il 15 giugno e non ci sarà un click day; in pratica, se le richieste saranno superiori alla dote (7 milioni), il credito d’imposta sarà ridotto in proporzione. Consideriamo che il beneficio massimo è 10mila euro per beneficiario e se tutti avessero il massimo ci sarebbe capienza per 700 società.

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