Non solo ristoranti: perché il green pass va esteso a mezzi pubblici e supermercati
L'obbligo della certificazione è non solo compatibile con il rispetto delle libertà costituzionali ma anche in sintonia con il principio solidaristico.
di Carlo Melzi d'Eril e Giulio Enea Vigevani *
I punti chiave
3' di lettura
Prosegue la strategia governativa per condurre i più titubanti a vaccinarsi spontaneamente, o almeno “spintaneamente”, senza per ora giungere alla misura più draconiana dell'obbligo, almeno per gli individui più a rischio.
Il 1° settembre saranno in vigore nuove disposizioni che imporranno la certificazione vaccinale per l’esercizio di alcune professioni e per la partecipazione ad alcune attività. Solo chi potrà dimostrare di avere contratto la malattia ed essere guarito, chi avrà effettuato un tampone nei due giorni precedenti e, ovviamente, chi si sarà vaccinato potrà viaggiare su treni a lunga percorrenza, insegnare nella scuola dell’obbligo o frequentare l’università.
Si tratta di una significativa estensione rispetto a quanto sinora previsto. Oggi, infatti, il “green pass” è richiesto per consumare nei ristoranti, entrare in cinema, musei, teatri, stadi, palestre, piscine, centri benessere, fiere, congressi, parchi divertimento, sale da gioco, centri culturali o ricreativi e persino per partecipare a concorsi pubblici.
La compatibilità con la tutela dei diritti umani
Le imminenti nuove restrizioni incideranno non poco su diritti fondamentali, quali la libera circolazione e lo studio: è doveroso, dunque, chiedersi se siano compatibili con la nostra Carta costituzionale e con i trattati che tutelano i diritti umani.
Prima di tentare di rispondere, però, aggiungiamo almeno un dato: oggi la quantità di vaccini disponibili è sufficiente a garantire a chiunque lo chieda di ricevere le dosi necessarie per un’adeguata copertura e, in generale, la macchina organizzativa per la somministrazione sta funzionando egregiamente. Pertanto, restano fuori dalla campagna solo coloro che non possono aderire per motivi di salute e coloro che non vogliono, per i motivi più disparati.
Torniamo alla domanda, e anzi formuliamola nel modo più radicale: lo Stato può obbligare i cittadini a vaccinarsi?
Ancora una volta, riprendiamo il filo di un discorso già affrontato su queste “colonne”. Non ci pare vi sia spazio per una sorta di trattamento sanitario obbligatorio “a tappeto”, che costringa chi non vuole a subire coattivamente la “maledetta puntura”. Un atto che implicasse la violazione della libertà personale imporrebbe, infatti, il coinvolgimento dell’autorità giudiziaria. E non ci sembra, comunque, che la situazione sia tale da consigliare un così drastico strumento, o anche soltanto l’imposizione di un obbligo assistito da una sanzione amministrativa o addirittura penale.
Tuttavia, di fronte a una pandemia che flagella il nostro Paese e il mondo intero da un anno e mezzo, il cui contagio è propiziato da assembramenti, specie in luoghi chiusi, non ravvisiamo alcun problema nel condizionare la frequentazione di questi ultimi all’esibizione di un certificato di avvenuta immunizzazione. Ciò, in particolare, tenuto conto del fatto che la comunità scientifica nel suo complesso non ha dubbi sull’utilità del vaccino e sull’esistenza di persone “fragili”, alle quali quest’ultimo non può essere inoculato.
In una simile situazione, sia per garantire la salute di tutti, evitando che gli ospedali siano ancora “colonizzati” da pazienti Covid, sia per tutelare chi non può essere sottoposto alla profilassi, non intravediamo particolari difficoltà a limitare, temporaneamente e con una norma di rango primario, alcune libertà anche fondamentali. Intravediamo ancora meno difficoltà quando a essere limitate siano le libertà di chi, senza alcun appiglio razionale, semplicemente rifiuti, seguendo proprie ubbie, di vaccinarsi. Rifiuti cioè una condotta che, a fronte di rischi infinitesimali, contribuisce a debellare il virus e consente, a chi vorrebbe ma non può farlo, di esercitare fin d’ora quelle stesse libertà.
Green pass compatibile con le libertà costituzionali
Insomma, siamo convinti che l’utilizzo, fatto finora e quello che sembra imminente, della certificazione sia non solo compatibile con il rispetto delle libertà costituzionali ma anche in sintonia con il principio solidaristico, con cui tali libertà debbono essere in concreto tradotte nelle disposizioni legislative, soprattutto in periodi emergenziali come questo.
In quest’ottica, saremmo anche più rigorosi, riconoscendo al legislatore la facoltà – che forse trascolora in un dovere – di estendere l’obbligo di certificazione a mezzi pubblici di ogni tipo (treni anche a breve percorrenza, trasporti pubblici urbani), a luoghi di culto, a supermercati e centri commerciali, a chi amministra la giustizia e, in generale, al personale a contatto quotidiano con il pubblico.
Nessun ordinamento civile può consentire che i diritti e le libertà dei renitenti facciano premio sui diritti e le libertà di tutti gli altri, in particolare dei più deboli.
* Carlo Melzi d’Eril giurista e Giulio Enea Vigevani costituzionalista
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