La ricadute macroeconomiche della guerra

Normalizzare la politica monetaria senza espandere quella fiscale è un errore

Consiglio europeo e Bce non stanno dando prova di quella capacità di reazione mostrata durante la pandemia

di Marcello Messori

 La sede della Bce a Francoforte

4' di lettura

Anche se si trascurano i drammatici costi umani, la guerra in Ucraina e i colpi di coda del Covid-19 pongono una sfida pesante ai responsabili di politica economica perché mettono in discussione quella combinazione ultra-espansiva fra politica monetaria e politica fiscale (policy mix) che aveva permesso di reagire con efficacia al primo shock pandemico.

Gli ingenti acquisti di titoli del debito pubblico e i rafforzati rifinanziamenti del settore bancario a tassi di interesse anche negativi, effettuati dalla Banca centrale europea da marzo 2020, e la realizzazione dei piani nazionali di riforme e di investimenti pubblici e privati, sostenuta da una capacità fiscale centrale (la Recovery and resilience facility o Rrf) dall’estate 2021, sono minacciati dall’acuirsi delle strozzature di offerta e dei conseguenti incrementi nei prezzi. Il futuro dell’attività produttiva europea sconta così una radicale incertezza circa l’impatto differenziato che lo shock esogeno, indotto dalla guerra, avrà sui diversi stati membri della Ue. Le aspettative convergono su due soli aspetti: i tassi di inflazione rischiano di diventare incontrollabili e una nuova stagnazione o recessione (la quinta o la sesta in meno di tre lustri) rischia di abbattersi sull’economia europea.

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Di fronte a un quadro tanto minaccioso, gli esiti delle recenti riunioni del Consiglio direttivo della Bce e del Consiglio europeo non confermano quella capacità di reazione mostrata dalla Ue nella primavera del 2020.

Interpretando il suo obiettivo istituzionale secondo i dettami dei manuali di macroeconomia, la Bce ha deciso di privilegiare la stabilità dei prezzi anche a costo di aumentare le probabilità di una stagnazione.

Rispetto alle determinazioni assunte a metà dicembre 2021 e ribadite a inizio febbraio 2022, essa ha accelerato il ridimensionamento dei suoi acquisti di titoli del debito pubblico. L’impatto della prevista chiusura – entro il mese in corso – del programma legato all’emergenza pandemica (Pandemic emergency purchase programme o Pepp) non verrà attenuato dal rafforzamento del più consolidato programma di acquisto di titoli (Asset purchase programme o App) fino al prossimo autunno e dal suo proseguimento a tempo indeterminato.

L’App tornerà a effettuare acquisti netti per soli 20 miliardi di euro al mese già nel prossimo giugno.

Per di più, se nel frattempo le aspettative inflazionistiche di medio periodo nell’euro area (Ea) non saranno diminuite, gli acquisti netti di titoli pubblici verranno azzerati nel terzo trimestre dell’anno (ossia da luglio); e, «qualche tempo dopo», la Bce procederà ad aumenti dei tassi di interesse di policy.

Combinandosi con la fine dei rifinanziamenti del settore bancario a tassi negativi (prevista fra tre mesi), la politica monetaria dell’Ea potrebbe pertanto diventare restrittiva sin dall’estate del 2022.

Avendo il compito di controllare un’inflazione già alimentata da impatti pandemici più persistenti del previsto e – poi – aggravata dalle tensioni belliche e dagli esiti indiretti delle sanzioni contro la Russia, la Bce ha compiuto scelte comprensibili anche se non condivisibili.

Ciò vale a maggior ragione se si considera che le dinamiche dell’economia statunitense, meno sensibili alla guerra in Ucraina ma affette da una spirale inflazionistica più radicata che nella Ue, stanno spingendo la relativa banca centrale (Fed) a ripetuti aumenti dei tassi di policy con successivi e inevitabili innalzamenti dei tassi di interesse nei mercati internazionali.

L’efficacia della politica monetaria impone alla Bce di non farsi sorprendere da questi innalzamenti.

Eppure, anche se si assumesse quest’ottica, la lezione dello shock pandemico dovrebbe spingere le istituzioni europee alla salvaguardia di un policy mix in grado di rispondere alle minacciose tendenze macroeconomiche indotte dalla guerra. Considerando che l’espansione delle politiche fiscali nei Paesi fragili dell’Ea necessita della rete di protezione offerta da sistematici acquisti di titoli da parte della Bce, la riunione informale di Versailles avrebbe dovuto compensare il passo indietro nella politica monetaria con un chiaro segnale di rafforzamento di quella capacità fiscale centrale avviata con il Rrf.

Invece, al di là di qualche promettente impegno a proseguire nella transizione “verde”, a diversificare le fonti di approvvigionamento energetico e a rafforzare la sicurezza comune, non è stata definita alcuna concreta agenda.

Si tratta di prendere atto che il non scontato successo delle mediazioni in corso fra Russia e Ucraina sfocerà in una situazione di forte instabilità e di lunga guerra fredda ai confini orientali della Ue. Condizione necessaria perché tale nuovo assetto geopolitico europeo possa risultare compatibile con uno sviluppo economico e sociale della Ue è che siano soddisfatti almeno tre aspetti.

1 Gli specifici piani nazionali, legati al Rrf, andranno adattati alla nuova situazione così da tenere conto del fatto che, analogamente alla pandemia, l’invasione russa dell’Ucraina e le connesse sanzioni hanno prodotto uno shock simmetrico ma con impatti asimmetrici sulle singole economie della Ue; pertanto, pur evitando comportamenti nazionali opportunistici, andrà ridiscussa la realizzazione anche temporale di vari obiettivi intermedi.

2 Sarà necessario integrare il Rrf con il finanziamento e la produzione di beni pubblici europei almeno nei settori dell’energia, della sicurezza e delle relative filiere produttive interne alla Ue; e ciò implica che gli Stati membri della Ue dovranno accettare il rafforzamento di una capacità fiscale centrale con orizzonti temporali più lunghi di quelli previsti per il Rrf.

3 La Ue dovrà dotarsi di istituzioni in grado di utilizzare i risultati della nuova capacità fiscale centrale per assumere un peso rilevante nella definizione dei nuovi equilibri economici internazionali.

La Dichiarazione conclusiva di Versailles non entra nel merito dei tre aspetti appena esaminati. Essa apre un unico spiraglio: il Consiglio europeo dà mandato alla Commissione di avanzare proposte per colmare i ritardi degli investimenti europei nella sicurezza, per rafforzare le basi tecnologico-produttive del settore europeo della difesa e per superare l’emergenza energetica.

La speranza è che, pur se priva di una copertura assimilabile a quella offerta dall’iniziativa congiunta di Angela Merkel ed Emmanuel Macron nel maggio del 2020, la Commissione colga l’opportunità e offra un impulso analogo a quello fornito per il varo di quel fondo per la ripresa poi sfociato in Next Generation - Eu.

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