Norn, la casa-hotel dei nomadi digitali
di Harriet Fitch Little
9' di lettura
Sembra quasi inappropriato prendere la metropolitana per raggiungere Norn London, un posto nel quale si inizia a chiacchierare scambiandosi informazioni sui rispettivi voli. Questo edificio di Shoreditch di mattoni color terracotta slavata è concepito come una sorta di club privato e di casa nella quale i millennial sempre in viaggio per il mondo possono coabitare. Sono venuta a trascorrervi quattro notti e sperimentarne il concetto, ma per sei mesi gli ospiti regolari diventano soci residenziali a tutti gli effetti pagando duemila dollari al mese, con la possibilità di passare in piena libertà da una proprietà Norn all'altra, da Londra a Berlino, da Barcellona a San Francisco (e presto altrove, visto che Norn ha in programma di espandersi in almeno 50 città).
Norn – che ha accolto i suoi primi clienti l'anno scorso e ha lanciato il suo primo processo di iscrizione la settimana scorsa – intende diventare qualcosa di più di un posto nel quale soggiornare, e si definisce un “social network in persona”. In un'epoca nella quale l'interazione digitale è diventata la regola, i suoi fondatori auspicano infatti di aiutare le persone a “coltivare rapporti più significativi nel ‘mondo reale'”. Di conseguenza, i coinquilini sono incoraggiati a simpatizzare grazie a una serie di incontri filosofici strutturati con precisione ingegneristica, e a questi eventi sono invitati anche soci non residenti. Dopo aver sperimentato più di una trentina di format possibili per queste serate speciali e dopo aver interpellato i partecipanti sui loro sentimenti in relazione ai rapporti instaurati a ciascun evento, il fondatore Travis Hollingsworth si è orientato su due in particolare: il salotto letterario e la cena conviviale.
La prima sera che trascorro a Norn c'è per l'appunto un salotto letterario sulla mitologia. Scendo in pantofole nella sala illuminata da candele, e la trovo piena di giovani professionisti che in stragrande maggioranza lavorano, vivono e fraternizzano nel micro-universo triangolare ubicato tra le stazioni di Old Street, Liverpool Street e Whitechapel. Questo edificio – in passato la casa di un birraio poi abbandonata e infine riportata in vita da Jocasta Innes, eccentrica esperta di design di interni – si trova oggi nel cuore pulsante della Cool London. Poco più in là, all'angolo, c'è un ristorante italiano-coreano e dirimpetto un negozio di barbiere che, con identici tagli sfumati e ciuffi sulla fronte, trasforma tutti quelli che vi entrano. Una mattina, seduta sul gabinetto in un bagno grande quanto un monolocale intero, intravvedo nel giardino accanto Gilbert o George intrattenere un codazzo di persone. I due artisti settuagenari, che indossano impeccabili completi di tweed, hanno comprato quella proprietà e la stanno trasformando in una galleria d'arte.
Salotto letterario
Nathan Tregarvan, manager e propugnatore del salotto letterario, prende la parola e chiede ai presenti di parlare delle creature mitiche nelle quali credevano da bambini. Domandare a diciassette persone che non si conoscono di scambiarsi pareri sulle fantasie della loro infanzia, però, è tanto poco appagante quanto chiedere loro di raccontare i propri sogni. E così la conversazione rapidamente si incanala verso ciò di cui si sente parlare con maggiore intensità in questa stanza piena di persone ambiziose: il mito del successo. Più tardi, in cucina, la conversazione passa dalle analisi filosofiche ai veri e propri network. “Come dovremmo restare in contatto tra noi?” chiede un giovane fondatore di un'Ong poco dopo esserci salutati, tirando fuori il telefono e snocciolando un elenco di opzioni diverse di social media. Il mito del successo ritorna anche il giorno seguente, di prima mattina, quando mi presento per una seduta di “Psycle”, un corso di spinning che si svolge in un bunker illuminato come una discoteca. Si tratta di una delle molteplici possibilità di esercizio fisico suggerite dai miei coinquilini. “Qualsiasi cosa desideriate, la troverete al di là della prossima collina” incita l'istruttore di Psycle, cercando di farsi udire al di sopra la musica martellante. La folla dei patiti del fitness prima di andare al lavoro esulta, urla e si dà il cinque. Quando la sessione finisce, non capisco come eseguire la complessa operazione di sganciamento delle scarpe dalla cyclette, e all'istruttore non resta che estrarre i miei piedi gonfi dalle calzature che restano a penzolare dai pedali.
Vivere a Norm è più simile ad alloggiare in un accogliente Airbnb che in un albergo o un circolo privato. Non ci sono pasti da condividere tutti insieme, se non quelli preparati per gli eventi in programma, e in frigorifero non c'è un unico cartone di latte per tutti. Siamo molto attenti a pulire e lasciare in ordine a mano a mano che usiamo qualcosa o la sporchiamo, ma a eccezione di Tregarvan (e dell'addetto alle pulizie che viene una volta alla settimana) nessuno si impegna in quel genere di manutenzione a fondo che esige ogni casa nella quale si abita. Giovedì un membro di passaggio del personale di Norn si rende conto che sono trascorse intere settimane da quando qualcuno ha innaffiato le piante l'ultima volta. Malgrado il mio scetticismo iniziale, dopo aver chiacchierato per qualche giorno con chi vive in questa casa mi sembra ormai evidente che lo stile di vita caldeggiato da Norn non è una fantasia o un'utopia, ma un'esperienza di vita vissuta quotidianamente da molti suoi membri.
Nomadismo
Una mattina, due amici poco più che trentenni sorseggiando il caffè mi raccontano di non aver mai vissuto tecnicamente nello stesso paese per più di dieci anni, ma di aver trascorso insieme del tempo in almeno nove città in quell'arco di tempo. Presto si ritroveranno a Norn Barcellona, una proprietà con molti edifici a schiera nel quartiere di El Poble-sec. Hollingsworth, un americano che si è laureato alla Stanford Business School, ha fondato Norn con il sostegno finanziario di diversi angel investor, ispirato dalla sua esasperazione di indefesso frequent-flyer: nei sette anni del suo incarico di consulente finanziario ha vissuto in quindici paesi diversi. “In pratica, mi trasferivo ogni tre-sei mesi” mi racconta in videochiamata dalla casa di Berlino. (Vorrebbe tanto che ci incontrassimo di persona, dice, ma la sua enorme mobilità lo ha messo nei guai con gli agenti della polizia britannica di frontiera: l'anno scorso ha trascorso una notte in cella, nel tentativo di convincere i rappresentanti delle forze dell'ordine che non viveva illegalmente nel paese.) Ma allora Norn è un posto per nomadi digitali, quella fascia della popolazione in netta espansione di professionisti sempre collegati al laptop che può lavorare ovunque con il Wi-Fi ultraveloce? Niente affatto, risponde Hollingsworth: “I nomadi digitali sceglierebbero di vivere in paesi dove il costo della vita è molto basso, per esempio la Tailandia. Vogliono ridurre al minimo le spese e mettersi in tasca uno stipendio occidentale, e non si preoccupano minimamente di dove abitano”.
Norn è fortemente contraria all'idea che viaggiare spesso significhi entrare in contatto in modo solo superficiale con il posto nel quale ci si trova. E gli eventi serali, infatti, sono studiati anche per questo. Per 500 dollari l'anno Norn offre alla cittadinanza locale la possibilità di un'iscrizione pro-tempore, permettendo così anche ai non residenti di frequentarne le serate e allargare il dibattito a più voci. Altra idea alla quale si oppone Norn è quella dell'omologazione che contraddistingue – anzi, per la precisione non contraddistingue – molti spazi concepiti per ridurre al minimo gli shock culturali per la massa dei “nuovi arrivati”. È vero, a Norn London ci sono lampadine a fluorescenza, ma anche divani logori che perdono i bottoni e un insolito lavandino sfondato di rame inserito in una cucina realizzata con banchi di scuola.
Norn Berlin sembra la casa di una vecchia zia dal cattivo gusto che quasi ti affascina, mentre la casa di San Francisco ha la facciata attraversata da una scala antincendio di vecchio stile. I residenti di Norn hanno a cuore il contributo personale che possono dare al processo di gentrification globale e apprezzano le concessioni che quella casa fa allo stile locale. “Gli spazi identikit spesso contribuiscono in senso positivo al mio lavoro: sono produttiva, ma non assorbo niente della cultura locale” dice Sheila Lam che, mentre lavora e scrive di Norm, passa da una residenza all'altra. “Potrei trovarmi in un bar di Seoul o di Vancouver e non saprei riconoscerne le differenze”. Ai circoli privati per millennial e per soli membri sta accadendo qualcosa di assai singolare. L'idea di fondo irrimediabilmente associata un tempo agli uomini d'affari – che per fumare la pipa dovevano uscire di casa e lasciarvi le mogli – e alle differenze di classe, ai leviatani aziendali e all'establishment, è risuscitata e si è riaffermata, evolvendosi in qualcosa a cui aspirare.
Per i giovani creativi diventare soci di istituzioni londinesi come The Hospital Club, il Devonshire Club e ovviamente quell'istituzione globale che è Soho House oggi è un onore, qualcosa a cui ambire e di cui andare orgogliosi, senza tener conto del fatto che questi club offrono un senso di appartenenza a tutti coloro che lavorano per lo più da soli come freelancer. Norn spinge questo concetto ancora più in là, nel tentativo di offrire non soltanto l'atmosfera di un club ma anche e soprattutto “il clima di casa”, e al tempo stesso confonde ogni linea di demarcazione tra lavoro e tempo libero.
A Soho House e in altre residenze gli eventi aziendali sono ufficialmente vietati (e anche indossare “abiti esplicitamente aziendali”), ma durante il mio soggiorno dormo, lavoro, fraternizzo e faccio rete senza mettere nemmeno un piede fuori dal giardino impregnato dal profumo delle magnolie. Quando salgo per andare a dormire, Tregarvan mi augura “sogni d'oro e racconti nuovi”. A molte persone tutto ciò potrebbe sembrare una sorta di trasgressione: l'interruttore che regola l'attività lavorativa, accendendola alle nove del mattino e spegnendola alle diciassette, è stato sostituito da una lampadina con oscuratore graduale che non si spegne mai del tutto lasciando spazio al buio assoluto. Per chi viaggia di continuo, però, le cose stanno diversamente. Non è una coincidenza, infatti, se chi sceglie di iscriversi a Norn appartiene, dal punto di vista demografico, alla fascia dei giovani single (per i quali l'app di appuntamenti d'élite per single The League è stata un feed importante dal momento dell'iscrizione in poi). “In un certo senso, siamo i primi a metterci in gioco” dice Tregarvan.
“Molti di noi sono single, lavorano in proprio e non sanno dove si troveranno tra pochi mesi”.
Ricorda le perplessità di un consulente di Norn, un baby boomer proprietario di alberghi di charme in Toscana che si sta specializzando in cene sociali, quando prese parte a un evento conviviale a Berlino. “Non volle sedersi a conversare di filosofia. Disse che quelli della sua generazione sono cinici, hanno superato il primo difficile giro di boa ma non hanno ancora voglia di pensare alla loro crescita personale”. Ci sono buoni motivi per essere perplessi nei confronti dell'approccio filosofico spiccio di Norn alla ricerca di un significato esistenziale. Il compendio dei “Grandi Pensatori della School of Life” spicca in modo ostentato sul tavolino della stanza all'ingresso, ma per tutto il tempo del mio soggiorno nessuno sposta il segnalibro dal capitolo su Machiavelli. Ogni mattina Tregarvan inoltra sulla chat di WhatsApp del gruppo qualche citazione motivazionale ricalcata sull'Espresso Bulletin dell'Economist, ma non risponde nessuno.
Cene conviviali
Ci sono momenti in cui afferro il senso di tutto: l'ultima sera che trascorro a Norn London, c'è una cena conviviale. La prima domanda che ci viene rivolta è la seguente: “L'essenza effimera delle esperienze vissute vi spaventano, vi rendono tristi o vi ispirano?”. In altri termini, la si potrebbe anche riformulare anche così: Dio mio, moriremo tutti.
Naturalmente, questo è un tema assai complesso su cui scambiare opinioni con nuovi coinquilini. Eppure, c'è qualcosa di rassicurante e che alimenta un forte senso di appartenenza a questa comunità nello stare seduta in compagnia di persone semi-sconosciute e sentire che il fondatore di una start-up che mi siede accanto è ossessionato da quanto ferisca le sue ex e che la manager di un importante social media che gli siede vicino – abbronzata per un recente viaggio che l'ha portata in Messico, a Los Angeles, a Austin e in Australia – dopo la sua recente rottura “prova tutti i sentimenti possibili”. I millennial danarosi e in perpetuo movimento non avranno mai effettivamente il tempo di andare a trovare una cara dolce vecchia nonnina presso la quale abitare durante le trasferte a Milano. Se la scelta è tra Norn o un solitario Airbnb – al netto di ogni distinzione tra repliche di sedie di Eames e muri vistosamente decorati – allora l'ago della bilancia pende senza dubbio alcuno a favore della casa hipster in condivisione. Del resto, c'è sempre un modo per auto-illudersi e sentirsi parte di una vera comune: dopo cena sgattaiolo a letto presto, e così evito di lavare i piatti.
Harriet Fitch Little è stata ospite di Norn London.
Per informazioni su come diventare soci di Norn, collegatevi a Norn.co
Traduzione di Anna Bissanti
© 2018, The Financial Times
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