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Nucleare dal 2031 e petrolio, l’agenda energetica dell’Uganda (con allarme ambientale)

Kampala sigla un accordo con la Cina per la produzione di energia nucleare in meno di un decennio, mentre accelera sul piano per esportare petrolio entro il 2025

di Alberto Magnani

Il presidente ugandese Museveni (Afp)

3' di lettura

Dall’estrazione di petrolio sotto le acque del lago Alberto a un impianto di energia nucleare, il primo dell’Uganda e il secondo dell’Africa subsahariana. Il governo di Kampala fissa un nuovo obiettivo sulla sua agenda economica: la generazione di «almeno» 1000 megawatt (MG) di energia nucleare dal 2031, un traguardo che si riallaccia ai piani di diversificazione delle fonti di approvvigionamento voluto dal presidente Yoweri Museveni. L’economia ugandese, ha detto lo stesso Museveni, sta capitalizzando i depositi di uranio custoditi del suo sottosuolo, in una mossa che dovrebbe rientrare nelle strategie di Kampala sul contrasto al cambiamento del clima.

Il progetto sarà assistito dalla China National Nuclear Corporation, la società a controllo statale che sovrintende la strategia nucleare di Pechino nelle sue applicazioni civili e militari. Il primo stabilimento, il Buyende Nuclear Power Plant, dovrebbe sorgere nella località omonima (Buyude) a circa 150 chilometri a nord della capitale Kampala. La ministra dell’Energia Ruth Nankabirwa Ssentamu ha dichiarato che le valutazioni sull’impianto sono in corso e il progetto dovrebbe generare 2000 MW, con i primi 1000 «connessi alla rete nazionale dal 2031».

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L’Uganda, ha aggiunto Nankabirwa Ssentamu, sta compiendo «passi fermi» per integrare il nucleare nel mix energetico del paese e garantire approvvigionamenti che diventeranno ancora più urgenti con la crescita economica prospettata dall’esecutivo. In parallelo alla svolta nucleare, Kampala sta investendo massicciamente sull’estrazione di greggio dal suo territorio, un business che dovrebbe spingere i volumi dell’export e accelerare un Pil già in ascesa di oltre il 5% nel 2022.

Dal nucleare al maxi-oleodotto dell’Eacop

L’impianto a nord di Kampala diverrebbe il secondo stabilimento di energia nucleare in tutto il Continente dopo quello sudafricano di Koeberg, il terzo se se ne aggiungo uno in via di costruzione in Egitto. Kampala ha rivendicato la sua strategia sia nell’ottica di diversificazione del mix energetico, sia sull’orizzonte di una «transizione» in chiave sostenibile dell’economia ugandese.

Il primo obiettivo risponde alla povertà energetica che frena la crescita del paese est-africano. Secondo dati della Banca mondiale, nel 2020 aveva accesso all’energia elettrica poco più del 40% di una popolazione da quasi 50 milioni di abitanti. Nel 2019 l’Agenzia internazionale dell’energia classifica Kampala al settimo posto nella sua top 20 dei paesi con il peggior deficit di accesso all’elettricità, pur riconoscendo i progressi compiuti negli ultimi anni dal paese. Il secondo, l’impegno «ecologico», sembra già meno in sintonia con le direzioni intraprese dal governo di Kampala, protagonista di investimenti massicci su estrazione ed esportazioni di greggio.

Il governo di Museveni ha predisposto un piano da 10 miliardi di dollari per avviare la produzione nel 2025 e raggiungere un ritmo medio di 230mila barili di petrolio al giorno, attingendo a riserve stimate in 6,5 milioni di barili (1,4 milioni quelli che possono essere recuperati). L’Uganda ha rinvenuto da almeno un paio di decenni dei giacimenti sotto le acque del lago Alberto e valuta da allora di sfruttarne il potenziale, ma il progetto si era sempre incagliato sull’inesistenza di infrastrutture per il trasporto e la successiva commercializzazione del petrolio.

Il governo sta cercando di accelerare su quel fronte, cavalcando anche una domanda in ascesa dopo la guerra in Ucraina e la crisi energetica. I progetti principali per l’estrazione sono a Kingfisher, un’area da 344 chilometri sulla sponda orientale del lago Albert, e a Tilenga, appena più a nord. Il primo sarà operato dalla China National Offshore Oil Corporation e il secondo dal Total, il colosso francese che detiene una quota del 33,3% anche nel primo sito produttivo.

L’ambizione di Kampala è immettere i suoi barili nel commercio internazionale attraverso l’Oceano Indiano, uno sbocco affidato a un altro maxi-progetto: East African Crude Oil Pipeline Project (Eacop), l’oleodotto che collegherà i giacimenti del lago Alberto al porto tanzano di Tanga, sostenuto sempre da Total e China National Offshore Oil Corporation. Sia i progetti di estrazione che lo stesso Eacop, allungato su oltre 1.400 chilometri, hanno scatenato l’allarme sull’impatto ambientale nella regione. Ong e associazioni ambientaliste denunciano che le perforazioni sul Lago Albert mettono a rischio gli equilibri del Murchison Falls National Park, il parco che “ospita” la sponda ugandese dello specchio d’acqua, minacciando l’ecosistema e la vita di decine di migliaia di persone.

L’oleodotto Eacop è stato classificato da un report dell’istituto di ricerca Climate Accountability Institute come una «bomba ambientale», capace di rilasciare l’equivalente di 25 volte le emissioni combinate di Uganda e Tanzania. Il presidente Museveni ha rifiutato e respinto le critiche in arrivo dai paesi occidentali e in particolare dalla Ue, catalogandole come «ipocrisie» rispetto alle stesse lacune di Bruxelles. «Non accetteremo che esista una regola per loro e un’altra regola per noi - ha detto - I fallimenti dell’Europa nel raggiungere i suoi obiettivi climatici non devono essere un problema dell’Africa».

Riproduzione riservata ©
  • Alberto MagnaniRedattore

    Luogo: Milano

    Lingue parlate: inglese, tedesco

    Argomenti: Lavoro, Unione europea, Africa

    Premi: Premio "Alimentiamo il nostro futuro, nutriamo il mondo. Verso Expo 2015" di Agrofarma Federchimica e Fondazione Veronesi; Premio giornalistico State Street, categoria "Innovation"

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