Nuove frontiere della sostenibilità
Attenzione all’ambiente e responsabilità sociale, ma anche certificazione e trasparenza su ingredienti e filiere, i trend toccano tutte le fasce e categorie di prodotti, nel solco di pionieri come Anita Roddick, che nel 1976 fondò The Body Shop
di Giulia Crivelli
3' di lettura
L’operazione annunciata all’inizio di aprile da L’Oréal conferma quanto la sostenibilità – ben diversa da ogni forma di greenwashing o bluewashing – sia centrale nelle strategie del mercato della cosmetica. Il colosso francese ha acquisito per 2,525 miliardi di dollari Aesop, marchio australiano di cosmetici di lusso vegani e sostenibili, che apparteneva al gruppo brasiliano Natura&Co., che ha in portafoglio The Body Shop e Avon. La cifra pagata da L’Oréal, tra i leader mondiali del settore, è pari a cinque volte il fatturato di Aesop, che nel 2022 era stato di 537 milioni di dollari. «Aesop sta traendo vantaggio da tutte le correnti di consumo portanti e L’Oréal contribuirà ad accelerare il suo enorme potenziale di crescita, in particolare in Cina», aveva commentato Nicolas Hieronimus, amministratore delegato del colosso francese. Aesop non è solo un marchio sostenibile, ma anche di alta gamma, come sottolineato dal presidente di L’Oréal Luxe Cyril Chapuy parlando di Aesop: «Siamo convinti che il brand entrerà a far parte del club dei marchi miliardari della divisione – aveva aggiunto dopo l’annuncio dell’acquisizione – contribuendo in modo significativo alla sua crescita».
La sostenibilità, si dice spesso, ha un costo: vale per ogni settore e categoria di prodotto, dal cibo all’abbigliamento. Ha un costo per le aziende e per i consumatori, che non sempre sono disposti a pagare di più in cambio della garanzia (o promessa) di avere un minore impatto negativo sull’ambiente e la società facendo scelte di acquisto più consapevoli. Le questioni sono quindi due: da una parte la volontà e disponibilità dei consumatori, dall’altra la possibilità di creare prodotti che siano allo stesso tempo sostenibili e accessibili. Vale per la cosmetica, lo ribadiamo, ma anche per il settore dell’alimentazione e dell’industria della moda.
La cosmetica però si è mossa con molto anticipo: il citato The Body Shop, ad esempio, è un marchio fondato nel 1976 da Anita Roddick (poi insignita del titolo di Dame dalla defunta regina Elisabetta): tutto iniziò con un piccolo negozio di cosmetici dalla facciata verde aperto a Brighton, in Inghilterra. Il suo approccio alla bellezza era radicalmente diverso da quello delle grandi aziende del settore. Anita Roddiclk aveva deciso di fare qualcosa di molto semplice e allo stesso tempo pionieristico per l’epoca: procurarsi ingredienti naturali ed etici da tutto il mondo e vendere i prodotti in confezioni semplici e ricaricabili. The Body Shop ha mostrato la strada non solo per la sostenibilità ambiente e sociale, ma anche per una visione diversa di bellezza femminile: la fondatrice spiegò fin dalla nascita del suo marchio di voler ridefinire la bellezza, convinta che i prodotti cosmetici fossero un rituale quotidiano di amor proprio e che non dovessero fare false promesse di dimagrimento o ringiovanimento così ampiamente utilizzate nel settore.
Oggi – come dimostra l’acquisizione di L’Oréal – le idee di Anita Roddick su ambiente e responsabilità sociale sono diventate parte integrante della cultura dell’industria cosmetica. Si profilano allora nuove frontiere di sostenibilità, come dimostra il caso di Lush. Il marchio di cosmetici “freschi” e fatti a mano ha realizzato da poco, in collaborazione con la società di consulenza strategica The Future Laboratory, la ricerca Digital Engagement: A Social Future. Lush è impegnato da tempo a ridefinire i rapporti tra tecnologia e cosmesi e nel novembre 2021 è stato il primo brand internazionale a scegliere di allontanarsi dalle piattaforme Meta (Facebook e Instagram) e dal loro uso commerciale. L’idea è che i social network – oltre a consumare molta energia, fatto di cui forse non si parla abbastanza – non favoriscono bensì ostacolano la trasparenza e quindi le libere scelte dei consumatori.
La certificazione diventa quindi sempre più importante: il 20 maggio a Genova si è tenuto l’evento “Piante e benessere: come riconoscere cosmetici davvero naturali e bio”, promosso da Natrue, associazione internazionale non profit, che dal 2007 tutela e promuove la trasparenza e l’autenticità della cosmesi naturale e bio e che ha creato lo standard Natrue, già scelto da 280 marchi per oltre 6.600 prodotti: certifica che siano composti solo da ingredienti naturali, di derivazione naturale o natural-identici.
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