Nuove istituzioni dalla prospettiva di genere
di Paola Profeta
3' di lettura
Meno di una donna su due lavora in Italia. Nonostante i progressi degli ultimi decenni, che hanno visto le donne affermarsi in tutti i livelli di istruzione (le ragazze sono il 60% dei laureati), il lavoro in Italia è dominato dagli uomini. Secondo l’ultimo rapporto sul gender gap del World economic Forum (2018) l’Italia è al 70° posto su 140 Paesi per uguaglianza di genere e precipita al 118° quando misuriamo la sola dimensione economica (partecipazione al mercato del lavoro e opportunità economiche). In Europa siamo tra gli ultimi, seguiti solo da Grecia, Malta e Cipro. A Sud il contesto è critico: solo una donna su 3 è occupata.
Più donne occupate non è solo un obiettivo di sviluppo e uguaglianza, ma di crescita economica, poiché i talenti, il capitale umano e la produttività delle donne hanno il potenziale di trasformarsi in valore economico. Lo stesso accade quando le posizioni di leadership sono bilanciate per genere: la qualità delle istituzioni e delle organizzazioni è migliore, i processi decisionali e le decisioni stesse sono più innovative, meno conflittuali. In tempi di bassa crescita e abbondante talento femminile la riduzione dei differenziali di genere dovrebbe essere una priorità del Paese.
Il dibattito sulla parità di genere è culminato nell’approvazione della legge Golfo-Mosca del 2011, che impone quote di rappresentanza di genere nei cda e collegi sindacali delle società quotate e società a controllo pubblico. Una legge rivoluzionaria che, rispondendo alle controversie sulla opportunità di una forzatura come l’imposizione di quote, è una legge temporanea (è in via di approvazione la proroga della scadenza, ma non è in discussione la temporaneità della misura). Poiché le radici dei differenziali di genere sono prevalentemente culturali, radicate e persistenti, l’azione di policy richiesta per il cambiamento non può avere natura intermittente, non può esaurirsi con la buona volontà di alcuni soggetti o soccombere di fronte alle necessità di finanza pubblica, seguendo il ritornello secondo il quale le riforme a favore dell’occupazione femminile vanno bene solo se sono a costo zero.
Per funzionare, la parità di genere deve invadere come un’onda il sistema economico, plasmare le politiche pubbliche, orientare la spesa pubblica, stimolare la società, inserirsi come protagonista nel dibattito, nella cultura, nella vita di ognuno. La promessa è una società e un’economia migliori per tutti. Il tema è affrontato dalla rivista Economia Italiana, che nell’ultimo numero presenta dati e analisi che evidenziano alcuni aspetti critici delle disuguaglianze di genere in Italia, come nascono ed evolvono durante vita individuale, lavoro e formazione della famiglia. Solo la comprensione delle radici delle differenze di genere permette di capire il ruolo delle politiche pubbliche e iniziare strategie di azione ampia e incisiva.
Il contributo di Daniela Del Boca, Enrica Martino, Elena Claudia Meroni e Daniela Piazzalunga evidenzia come i differenziali di genere nascano da bambini. I servizi alla prima infanzia sono fondamentali nel contrastare queste differenze fin dalla loro origine, con conseguenze nel lungo periodo. Investire sui servizi alla prima infanzia significa ridurre all’origine le disuguaglianze. Come sottolineato da Francesca Carta, i servizi all’infanzia sono importanti per stimolare l’occupazione delle madri. Fondamentale è il ruolo dei padri: il congedo di paternità esclusivo e obbligatorio è indispensabile per ribilanciare il lavoro domestico e il lavoro di cura tra uomini e donne in famiglia, dove si sviluppano le differenze. Le conseguenze si rifletteranno nel mondo del lavoro. Secondo le analisi di Francesca Barigozzi, Helmuth Cremer e Chiara Monfardini la maternità resta un passaggio cruciale per il lavoro femminile: la penalizzazione di salario e carriera delle donne alla nascita dei figli ha radici culturali profonde. Le norme sociali impongono alle donne di dedicare più tempo degli uomini alla cura dei figli. Servizi alla prima infanzia, congedi di paternità, sgravi per le donne lavoratrici alla nascita dei figli sono importanti per ridurre i differenziali di genere sul lavoro.
Per promuovere la presenza delle donne nelle posizioni decisionali, lo strumento naturale sono le quote che in Italia hanno portato a effetti benefici nella selezione dei membri dei cda, secondo l’evidenza descritta da Annarita Macchioni. Poiché le radici delle differenze di genere sono culturali, i contributi del volume sottolineano come non bastino le politiche familiari o l’introduzione di quote. È necessario un ripensamento del funzionamento delle istituzioni secondo la prospettiva di genere. Un esempio è fornito da Giuseppina Gianfreda e Giovanna Vallanti: nelle regioni con un mercato del lavoro più rigido, che riflette le inefficienze del sistema giudiziario, le differenze di assunzioni e tipologia di contratti tra uomini e donne sono più forti. È ora che l’onda della parità di genere parta con determinazione.
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