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Nuove regole europee sul debito: segnali incoraggianti?

Si osservano i primi passi concreti verso una riforma decisa delle regole sulla gestione di debito e deficit dei governi dell'area euro

di Marcello Minenna

(AdobeStock)

8' di lettura

Dopo un lungo dibattito istituzionale ed accademico, finalmente si osservano i primi passi concreti verso una riforma decisa delle regole sulla gestione di debito e deficit dei governi dell'area euro. Alcuni giorni fa, la Commissione europea ha pubblicato i propri orientamenti sulla materia: ci sono poche sorprese (e questo è positivo) rispetto al position paper del 2021 firmato dal Meccanismo europeo di stabilità (Mes), in cui si ribadiva la necessità di modificare profondamente le regole su debito e deficit, abbandonando il datato riferimento alla soglia del 60% del rapporto debito/Pil.

Nella comunicazione si nota sicuramente il risultato di un compromesso con i “falchi” nordeuropei che avrebbero voluto mantenere in toto l'impianto normativo del passato, ma il risultato delle negoziazioni appare complessivamente piuttosto buono. Certo, formalmente i riferimenti alla citata soglia del 60% e del 3% del rapporto deficit/Pil restano invariati, ma il loro impatto viene depotenziato da una procedura di determinazione delle politiche di spesa incentrata nel rapporto bilaterale tra singoli governi e Commissione.

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Limiti di spesa chiari, specifici per singoli Paesi e determinati in maniera negoziale da governi e Commissione potrebbero rappresentare dal 2024 (anno di implementazione della riforma dopo la sospensione del regime vigente in atto dal 2020) un'opportunità unica per una rivoluzione copernicana nella gestione del debito pubblico, soprattutto per il nostro Paese. Ma vediamo in dettaglio i punti della proposta.

Regola del debito e ventesimo di rientro: vecchio problema

Come anticipato, la soglia limite del 60% Debito /PIL resta in piedi, sebbene anche il Mes avesse consigliato di innalzarla al 100%, in coerenza con il mutato contesto macro-economico post-pandemia caratterizzato da livelli di debito pubblico molto elevati per importanti Paesi membri. Nei primi anni '90 le autorità comunitarie calibrarono la soglia del 60% utilizzando (anche) il criterio empirico dei livelli osservati di Debito/Pil.

De facto i livelli medi di debito/Pil dell'area Euro si sono allontanati dalla soglia del 60% dai tempi della crisi finanziaria internazionale del 2009 (vedi Figura 1), oscillando nel decennio successivo intorno all'80%. Nel 2020 la crisi pandemica ha impresso una nuova spinta verso l'alto, verso un livello medio del 90%, anche se la (breve) ripresa post-pandemia e la fiammata dell'inflazione abbiano consentito un parziale riassorbimento di questo ultimo shock.

AREA EURO - MEDIA DEI RAPPORTI DEBITO / PIL DEI PAESI MEMBRI
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È ben noto come la soglia del 60% non sia importante di per sé (il 47% dei Paesi membri non la rispettava nel 2019 e questa percentuale era salita al 70% nel 2021 per via della crisi pandemica), ma per la rigorosa disciplina di bilancio che risulterebbe dall'applicazione del principio di convergenza del rapporto debito/Pil verso il 60%.

Fino al 2011 tuttavia, la mancanza di conseguenze definite per i trasgressori (in termini di sanzioni) non aveva incentivato un rispetto della soglia del 60%. Dal 2011 la normativa europea ha poi introdotto il criterio del “ventesimo di rientro”, secondo cui un debito eccessivamente elevato dovrebbe essere ridotto annualmente in misura pari ad 1/20 del gap fra il livello corrente di debito/Pil ed il 60%.

Per i governi altamente indebitati, questo criterio univoco e “cieco” alle differenze tra le varie economie implicava automaticamente dei percorsi di rientro dal debito affrontabili soltanto attraverso un'austerity molto spinta. Tuttavia nel decennio successivo le numerose esenzioni concesse a chi implementava riforme strutturali hanno reso il criterio spesso inapplicabile, in ogni caso inefficace.

La Figura 2 consente di cogliere con un discreto colpo d'occhio come i principali governi dell'area Euro (compresa la Germania) abbiano rispettato ben poco i rigidi obiettivi fiscali connessi con la soglia del 60% e - dal 2011 - al criterio del ventesimo di rientro; non solo durante le crisi (aree in rosso), ma anche durante periodi di relativa stabilità economia e finanziaria.

REGOLA DEL DEBITO –DEVIAZIONE DAL CRITERIO DEL VENTESIMO DI RIENTRO
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Fortunatamente il ventesimo di rientro non dovrebbe sopravvivere nella sua forma attuale dopo la profonda revisione in corso. Rimarrebbe la necessità di definire percorsi di rientro dal debito, ma con ritmi differenziati per singoli Paesi e ad una “velocità variabile” aggiornabile ogni 4 anni.

Il limite del 3% deficit/Pil funziona e viene confermato

La Commissione non prevede invece nessuna innovazione per quanto riguarda la soglia massima del 3% del rapporto deficit/Pil, ritenuta efficace e sostenibile. In passato, i Paesi membri hanno mediamente rispettato questo limite (con la notabile eccezione del Portogallo, vedi Figura 3), nonostante livelli di debito di partenza molto differenziati. Dai dati si nota infatti una crescita delle deviazioni durante i periodi di crisi profonda, che però viene rapidamente corretta in tempo di ripresa economica.

REGOLA DEL DEFICIT – DEVIAZIONE DALLA SOGLIA DEL 3%
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Questo è un risultato notevole se si considera che anche la soglia del 3% era stata determinata empiricamente. Dato che nei primi anni 90 il debito pubblico dell'area euro si posizionava intorno al 60% del Pil, ipotizzando una crescita media annua del PIL nominale del 5% (3% di crescita reale + 2% di inflazione), un tetto del 3% al deficit annuo era compatibile con il mantenimento del rapporto debito/Pil su un livello del 60%.

La preservazione del criterio del 3% spiega abbastanza bene perché le istituzioni europee abbiano deciso di attendere fino al 2024 per la sua riattivazione. Infatti (vedi Figura 4), le stime più recenti della Commissione sui deficit governativi dei principali Paesi dell'Unione tra il 2022 ed il 2024 restano ampiamente sopra la soglia e non sembrano (come nel caso della Francia e dell'Italia) nemmeno convergere verso di essa. Le proiezioni sono molto migliori per le piccole economie. Insomma, l'area euro non è ancora pronta al ripristino della vecchia regola.

Il pasticcio dell'output gap ed il suo superamento

Purtroppo una tendenza alla sovrapposizione delle norme ha complicato la semplice ed efficace regola del deficit. Infatti, in parallelo dal 2011 sono state irrigidite le regole sul deficit che prevedevano un limite inferiore (floor) al saldo di bilancio pubblico corretto per le spese una tantum e per gli effetti del ciclo economico il cui calcolo si basava su complesse stime del Pil cosidetto potenziale”, cioè quello raggiungibile da una data economia ipotizzando un pieno utilizzo dei fattori produttivi e senza stimolare un aumento dell'inflazione.

In termini elementari, in tempi di crisi un Paese era autorizzato a spendere di più, ma solo fino al punto di riportare l'economia sul percorso stimato di crescita potenziale del PIL, chiudendo il cosiddetto output gap tra Pil osservato e potenziale. Di conseguenza questa stima era una variabile centrale nell'impianto normativo, perché determinava quanto deficit un Paese potesse accollarsi in momenti di difficoltà. Detto altrimenti, quanto maggiore era l'output gap (i.e. quanto più il Pil effettivo risultasse inferiore rispetto a quello potenziale), tanto maggiore sarebbe stato lo spazio fiscale a disposizione di un Paese.

Il problema principale che si è osservato nel corso degli anni è l'estrema variabilità delle stime del Pil potenziale e quindi dell'output gap. Differenti istituzioni internazionali hanno prodotto sistematicamente stime eterogenee, per l'Italia come per altri Paesi membri. Quelle che contano per la determinazione del deficit sono state ovviamente quelle della Commissione, che si sono rivelate spesso molto contenute. Se ad esempio fossero state utilizzate le stime Ocse (l’Organizzazione dei Paesi industrializzati) per l’Italia, il governo sarebbe stato autorizzato ad indebitarsi di più per stimolare l'economia, soprattutto durante la pesante recessione del 2012-2014.

Le critiche da parte di governi, università e centri di ricerca indipendenti sono cresciute nel tempo: una variabile non osservabile soggetta a forti errori di stima non poteva determinare una grandezza così importante come il deficit pubblico. Finalmente, dopo un'ulteriore consultazione pubblica sull'argomento nel 2021, le istituzioni europee hanno preso atto del problema. L'output gap va in pensione e viene sostituito da un indicatore osservabile ed inequivocabile, su cui il governo ha capacità diretta di controllo: un tetto massimo alla spesa primaria, calcolata al netto degli interessi, dell'impatto degli stabilizzatori automatici (cassa integrazione, etc) e di misure eccezionali ed una tantum.

Limiti di spesa condivisi: rivoluzione nel gestione il debito?

I limiti alla spesa primaria sarebbero stabiliti ogni 4 anni attraverso una negoziazione bilaterale tra Commissione e governi, tarata sul rispetto di un piano di rientro del debito specifico per ogni Paese. La metodologia utilizzata per la calibrazione dei piani di rientro sarebbe quella dell'analisi di sostenibilità del debito (debt sustainability analysis, DSA), che la Commissione utilizza già da anni. La Ds consente di applicare una generosa dose di flessibilità nella determinazione degli obiettivi, che tenga conto dello stato di salute dell'economia e della necessità di preservare un adeguato livello di investimenti pubblici.

La flessibilità che viene concessa ex-ante viene però sottratta ex-post. Una volta che i limiti di spesa sono definiti, non possono essere modificati dai governi nemmeno in caso di normale recessione, pena l'attivazione immediata (per i Paesi più ad alto rischio) della procedura di infrazione della regola sul debito. Indubbiamente in passato l'utilizzo della procedura è stato poco efficace e solo in alcuni casi determinante nel modificare le scelte dei governi, anche se nella riforma proposta le sanzioni vengono riproposte in forma più snella e di tipo reputazionale.

Probabilmente l'incentivo maggiore a rispettare i patti dovrebbe arrivare dalle condizionalità inserite nel Piani nazionali di ripresa e resilienza (Pnrr) e nella procedura di attivazione del nuovo scudo anti-spread della Banca centrale europea: violare i limiti di spesa inibirebbe automaticamente l'accessibilità a questi strumenti.

Questa rigidità di approccio, basata però su premesse chiare e con una trattativa a monte che abbia tenuto conto delle esigenze specifiche dei singoli Paesi, non è affatto un male. Anzi, potrebbe favorire una cultura di sana disciplina fiscale e avviare finalmente un percorso di rientro dal debito effettivamente sostenibile che non soffochi crescita economica ed investimenti.

La Figura 5 mostra l'aumento di questo indicatore di spesa nel periodo pandemico 2020-2022, valutato rispetto alla crescita potenziale del P. Prendendo per buone le stime del Pil potenziale, un eccesso di spesa pari a 0 o negativo sarebbe rappresentativo di un percorso di spesa sostenibile, mentre valori positivi implicherebbero una crescita tendenziale del rapporto Debito/Pil, che è ritenuta non accettabile dalla nuova disciplina di bilancio.

CRESCITA DELLA SPESA PRIMARIA IN ECCESSO ALLA CRESCITA POTENZIALE DEL PIL
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Ovviamente, durante la crisi gran parte dei Paesi ha registrato un eccesso di spesa rilevante rispetto alla crescita potenziale, dovuta alle misure emergenziali di stimolo all'economia. Questo eccesso per parecchi Paesi nel 2022 si è addirittura ampliato perché il rallentamento economico globale ha ridotto le aspettative di crescita futura. Per il 2024, al netto delle negoziazioni, l'avvio della nuova normativa dovrebbe implicare largo circa la convergenza di tutte le barre verso lo 0 (dato che i rapporti debito/Pil non possono più crescere). In concordanza con le stime sul deficit si nota come Grecia e Spagna abbiano già iniziato questo processo, mentre Francia ed Italia si trovino marcatamente più indietro.

Il nodo ancora irrisolto degli investimenti pubblici

Il documento della Commissione pone molta enfasi sul tema degli investimenti pubblici, riconoscendo che la vecchia normativa basata sul ventesimo di rientro e sull'output gap ha contribuito non poco al declino degli investimenti in Europa. Di nuovo, si ritiene che la sola flessibilità in fase di determinazione dei limiti di spesa possa essere dirimente nel fissare un livello adeguato di investimenti pubblici.

La proposta prevede peraltro la possibilità di ottenere più tempo per il percorso concordato di rientro del debito (fino a 3 anni in più) in cambio di riforme ed investimenti che riguardino l'ambito della lotta al cambiamento climatico, i diritti sociali e la modernizzazione digitale. Nella sostanza, ancora una volta è stata bocciata l'idea (a mio avviso ragionevole) di una golden rule per gli investimenti che escluda determinate voci di spesa dal calcolo del deficit.

Grazie allo sforzo congiunto di contrasto alla recessione pandemica, negli ultimi anni c'è stato un significativo balzo degli investimenti pubblici.

INVESTIMENTI PUBBLICI IN % DEL PIL (MEDIA 2019-2022)
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Il maggior sforzo per ora è stato sostenuto dai governi nazionali (barre rosse), dato che comunque bisogna attendere il riflesso nei dati del dispiegamento del Recovery Fund (barre azzurre). I piccoli Paesi nord-europei in ogni caso beneficiano già adesso di una componente di investimenti comunitari proporzionalmente molto elevata (barre blu).
In definitiva, sulla carta le nuove regole su deficit e debito proposte dalla Commissione possono funzionare ed essere un'opportunità per una profonda rivoluzione nella gestione della spesa pubblica nazionale. La speranza resta, ma la discussione sul tema sarà lunga.

Marcello Minenna, direttore generale dell'agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli
@MarcelloMinenna
Le opinioni espresse sono strettamente personali

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