Mezzogiorno, programmi in stallo con le nuove regole del Fondo sviluppo e coesione
Le regioni meridionali alle prese con la chiusura del periodo 2014-2020 entro fine anno faticano a occuparsi anche dell’Accordo di coesione indispensabile per avere i fondi nazionali e cofinanziare i progetti europei. Fa eccezione la Campania
di Giuseppe Chiellino
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Il cambio di passo immaginato dal ministro per il Sud, Raffaele Fitto, nell’attuazione dei programmi di spesa dei fondi strutturali europei 2021-2027 tarda ad arrivare. Soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, quelle con capacità amministrative inadeguate rispetto alla mole di risorse da spendere, la nuova programmazione è in stallo. Le regioni sono alle prese con la chiusura del periodo 2014-2020 che, in virtù della regola N+3, concede tempo fino al 31 dicembre di quest’anno per rendicontare la spesa a Bruxelles.
Gli accordi per la coesione
Alla chiusura della vecchia programmazione, dunque, le regioni stanno lavorando a pieno ritmo e sarà così fino a fine anno. Questo significa che non è possibile dedicare tempo e attenzione all’Accordo di coesione che ogni regione dovrà siglare con la Presidenza del Consiglio per ottenere dal governo centrale la propria quota del Fondo sviluppo e coesione (Fsc), dettagliando tutti i progetti che intende finanziare con quelle risorse. Non è un caso che la prima regione che ha firmato l’intesa, a fine settembre con la premier Giorgia Meloni in persona, sia stata la “piccola” Liguria, a oggi sia rimasta anche l’unica. Altre regioni del Nord sono vicine alla firma, ma a preoccupare sono quelle del Mezzogiorno: senza l’accordo con Palazzo Chigi, il governo non mette a disposizione i soldi del Fsc indispensabili per il cofinanziamento dei programmi finanziati dai fondi europei, che continueranno a restare fermi. Un passo avanti è la Campania che qualche giorno fa ha inviato a Fitto la bozza dell’accordo, nonostante il governatore De Luca, nel suo stile, abbia protestato anche con la commissaria Elisa Ferreira.
La definizione dell’Accordo di coesione, ha denunciato anche Michele Emiliano, è abbastanza macchinosa e richiede tempo sia nella predisposizione da parte delle regioni, sia nella fase di verifica e approvazione da parte del Dipartimento per la coesione (Dpcoe) presso la presidenza del Consiglio. Le regioni del Sud governate dal Centro destra non si espongono sul tema. Ma il timore, anche a Bruxelles, è che il dipartimento non abbia forze a sufficienza per esaminare e approvare in tempi rapidi tutti gli accordi che, prima o poi, dovranno arrivare. E se per la Liguria - che dal Fsc riceve 265 milioni di euro - si tratta di una novantina di progetti, per le grandi regioni del Sud lo sforzo rischia di essere insostenibile, anche a livello centrale. Sicilia e Campania aspettano dal Fsgc rispettivamente 6,86 e 6,57 miliardi di euro, venticinque (25) volte la dote della Liguria. La Puglia deve averne 4,58, la Sardegna e la Calabria tra 2,5 e 2,8 miliardi. Gli addetti ai lavori temono che ogni accordo sia spesso come il volume di un’enciclopedia. Con tutto ciò che ne consegue in termini di valutazione. A complicare tutto anche una clausola nell’accordo ligure, per ora unico benchmark, sulla spesa annuale. In pratica, la parte di risorse Fsc indicata nell’accordo che la regione non riesce a spendere entro l’anno viene definanziata per essere reimpiegata anche dalle altre regioni. Il principio è condivisibile, ma si teme l’effetto involontario di trasferire risorse dal Mezzogiorno alle regioni del Nord. Su questo punto potrebbe aprirsi un negoziato, quanto meno per precisare che i fondi dovranno essere reimpiegati nella stessa regione.
La prospettiva, in ogni caso, è che entro la fine dell’anno molte regioni del Centro-Nord siano in grado di siglare l’accordo, mentre per quelle del Sud sia necessario molto più tempo, e se ne riparli nella prima metà del 2024. Ed è illusorio pensare che ciò non abbia conseguenze sui tempi dell’attuazione complessiva, anche nei prossimi anni.
Il cambio di governance
Difficilmente, inoltre, potrà essere d’aiuto la soppressione dell’Agenzia per la Coesione, prevista nel decreto Pnrr a febbraio scorso e continuamente rinviata (l’ultima data era fissata al 1 novembre). È vero che le funzioni e il personale sono trasferite al dipartimento per la coesione, ma tra chiusura del 2014-2020 e avvio della nuova programmazione, il momento è troppo critico per sperare che il cambio di governance funzioni senza intoppi e, anzi, migliori la capacità di spesa e di attuazione. Senza considerare che l’Agenzia è ancora autorità di gestione di due programmi nazionali 2014-2020, Città metropolitane e Pon Governance.
Chiusura 2014-2020
Di buono c’è che il rush finale del periodo 2014-2020, per quanto faticoso, non porterà alla perdita di risorse europee. La Commissione Ue ha dato un messaggio tranquillizzante: «Grazie alla riprogrammazione delle risorse non ancora spese e al trasferimento sul programma Safe per aiutare famiglie e imprese a far fronte al caro-energia, Sicilia, Campania, Calabria e Pon Metro riusciranno ad assorbire tutti i fondi di React-Eu che si erano aggiunti alla dote iniziale». A fine anno, dunque, non ci saranno disimpegni e nessuno perderà risorse. La buona notizia però si accompagna ad una riflessione: «Questa spesa cosa produce dal punto di vista strutturale? Nulla. Sarebbe stato molto più utile investire sulle fonti rinnovabili, sull’efficienza energetica, sul contrasto al cambiamento climatico». Ambiente, energia, rischio idrogeologico «sono gli obiettivi su cui si è speso di meno», insieme a gestione delle acque reflue e del ciclo dei rifiuti. Perciò da qui in avanti su questi fronti Bruxelles promette un «monitoraggio rafforzato».
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