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Nel 2022 l’export cosmetico italiano ha sfiorato i 5,9 miliardi di euro, in crescita del 18,5% rispetto all’anno precedente. Le esportazioni verso gli Usa rappresentano il 12,5% del totale per un valore di oltre 730 milioni di euro, in crescita del 38,7% rispetto al 2021. I primi importatori di bellezza made in Italy continuano a crescere, e confermano la loro posizione, anche nel primo semestre di quest’anno con un valore di 471 milioni di euro in aumento del 42,7%. Tra i cosmetici made in Italy più richiesti sul mercato statunitense, al primo posto si posiziona la profumeria alcolica (193 milioni di euro, +53,5% rispetto al 2021), seguita dal make-up (174 milioni di euro, +50,5%) e dai cosmetici per la cura della pelle in terza posizione (171 milioni di euro, +28,9%). Da segnalare per il peso a valore anche la rilevanza dei prodotti per capelli che, al quarto posto, raggiungono un valore di 167 milioni di euro in crescita del 29,4% rispetto al 2021.
Il secondo mercato cosmetico mondiale con 82,4 miliardi di euro – secondo solo all’Europa (88,3 miliardi di euro) – sta cambiando le regole per l’esportazione: obbligo di registrazione degli stabilimenti e dei prodotti, nomina di un responsabile, adeguamento alle buone pratiche di fabbricazione, segnalazione di gravi reazioni avverse subite dai consumatori, conservazione dei registri e delle prove di sicurezza. La Food and Drug Administration (Fda) ha infatti approvato il “Mocra: Modernization of cosmetics regulation act”, legge che entrerà in vigore a partire dal 2024 e che pone regole più restrittive per garantire la sicurezza dei cosmetici equiparandoli agli altri prodotti di consumo regolamentati dall’ente governativo americano.
Una ricaduta importante sulle aziende – circa 1.500 quelle italiane – sia a livello di organizzazione che di un possibile aumento dei costi operativi per adeguarsi alle nuove regole. Anche gli importatori dovranno essere registrati presso l’Fda che, per praticità e velocità, potrebbero essere costretti ad appoggiarsi a un importatore registrato o ad aprire una loro società di diritto statunitense e a registrarla come importatore per assicurarsi la necessaria indipendenza e flessibilità operativa sul mercato americano.
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